Con Cosa Si Lavavano I Denti I Romani?
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Igiene orale nell’antica Roma: urina per lavare i denti
Anche se gli antichi romani erano piuttosto vanitosi ed estremamente accorti nella cura e nell’igiene del corpo, bisogna tener presente che i mezzi a disposizione erano quelli che erano e, a volte, ci si arrangiava come meglio si poteva.L’ igiene orale era considerata indispensabile, ma i metodi utilizzati lasciavano piuttosto a desiderare.Nonostante il largo uso di stuzzicadenti, la maggior parte delle persone si ritrovava con la bocca rovinata da una dentatura pressoché totalmente guasta.Per lavare i denti si utilizzava una rudimentale pasta dentifricia a base di bicarbonato di sodio, ma c’era anche chi preferival’ urina, l’uso della quale era stato importato dalle abitudini quotidiane di Spagna e Africa Settentrionale.A tal proposito, riporto alcuni celebri versi di un epigramma di Catullo, in cui il grande poeta latino prende in giro un certo Egnazio, il quale non perdeva occasione per ridere e mostrare i suoi denti sbiancatidalla pipì:
“Sciocco, più i tuoi denti sono candidi, più attestano che tu hai bevuto questa porcheria!”. Ad ogni modo, visti i sistemi adoperati, non stupisce che i denti costituissero spesso il punto debole nella bellezza di un antico romano. : Igiene orale nell’antica Roma: urina per lavare i denti
Cosa usavano i romani come dentifricio?
Il ‘ dentifricio ‘ più in voga era una pasta a base di bicarbonato di sodio, una sostanza naturalmente detergente, disinfettante e dal blando effetto sbiancante.
Cosa usavano gli antichi per lavarsi i denti?
Nell’antica Mesopotamia ci si puliva i denti con un miscuglio di corteccia, menta e allume (sale minerale); nell’antica India si impastavano estratti vegetali di crespino e pepe; in Egitto, durante la dodicesima dinastia, le principesse utilizzavano verderame e incenso, ed un impasto a base di mirra dolce e fiori come
Come curavano le carie una volta?
Come si curavano i denti gli antichi? Gli antichi popoli mesopotamici si pulivano i denti con un miscuglio di corteccia, menta e allume (un sale minerale). Gli antichi indiani mescolavano estratti vegetali di crespino e pepe; in Egitto, durante la dodicesima dinastia, le principesse utilizzavano verderame e incenso, ed un impasto a base di mirra dolce e fiori come il croco.
- Anche nell’antica Grecia era molto la questione dell’ : l’esigenza di proteggere i denti era nota e per sfoggiare un sorriso fresco si faceva uso di un impasto di sale, miele e rosmarino.
- Per curare le carie, invece, si procedeva con risciacqui tenendo in bocca oppio, pepe e alcune erbe medicamentose essiccate, mentre nei casi più gravi e quando mal di denti era molto violento, si procedeva con l’avulsione dell’,
Da diverse fonti inoltre, possiamo dedurre che i Greci facevano largo uso in ogni campo delle proprietà disinfettanti dell’argento. Tutte le culture dell’antichità conoscevano gli stuzzicadenti e prevenivano l’alitosi e i disturbi gengivali masticando bastoncini aromatici, come il siwac, un bastoncino ricavato dalla pianta arak (salvadora persica) tuttora molto in voga nei paesi arabi.
Le prime testimonianze di un vero e proprio spazzolino con setole, simile a quello odierno, risalgono al 1500 in Cina. Le fibre, però, essendo naturali, erano troppo morbide, si deterioravano e diventavano rapidamente ricettacolo di batteri. Finalmente nella metà del XIX secolo in America si produsse il primo “Miracoloso Spazzolino a ciuffi del dott.
West” a fibre sintetiche (nylon) e nel 1872 Samuel B. Colgate inventò il primo dentifricio a base di sali minerali ed essenze rinfrescanti. Nel 1911 a Dresda in Germania si realizzò la Prima Esposizione Internazionale d’igiene, nella quale convennero milioni di visitatori: i prodotti per l’igiene dentale si moltiplicarono e si diffusero divenendo beni di consumo di massa, accessibili a chiunque.
Nel mondo odierno assistiamo a gravi disuguaglianze nella cura della salute orale. Nei paesi ricchi il mal di denti è ormai debellato, con la prevenzione e le terapie odontoiatriche adottate per conservare a lungo il buon funzionamento dell’apparato masticatorio, per correggere la posizione dei denti e per migliorare l’aspetto del sorriso.
Nei paesi poveri, invece, le persone vivono ancora le più comuni sofferenze e la perdita dei denti, con grande danno per la qualità della loro vita. E tu, vuoi conoscere lo stato di salute dei tuoi denti? Prenota una visita : Come si curavano i denti gli antichi?
Come si lavavano i capelli i romani?
L’Igiene – Per la cura e la detersione dei capelli, erano usate varie misture, tutte a base di prodotti naturali: succo di mele, tuorlo d’uovo, aceto e latte ma anche fiori di iris, vaniglia, cannella e miele che ne rendevano più gradevole il profumo.
Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia descrive la tecnica con cui si potevano ottenere detergenti specifici per i capelli, mescolando cenere di faggio e grasso di capra. La parola sapone deriva dal termine saponem, che indicava una miscela usata per la tintura dei capelli di origine celtica-germanica.
Si usavano anche palle di sapone prodotte in Germania, vicino Wiesbaden (di cui fa menzione Martiale nei suoi Epigrammi XIV, 26) o la Spumae Batavae proveniente dalle regioni degli odierni Paesi Bassi. Tinta e sapone, questo è una scorta dei galli per rendere rossi i capelli. S. Solomon, Toilet of a roman lady (1869)
Come si lavavano i denti gli Egizi?
La medicina – Il papiro Ebers descrive tre tipi di medici nella società egizia:
- I sacerdoti di Sejmet, mediatori con le divinità e conoscitori di un ampio assortimento di droghe, tra questi Sabni, che godeva del titolo di “Medico capo e scriba della parola del dio”
- I medici civili, ( sun-nu ), capaci di effettuare guarigioni con la magia.
- Aiutanti, denominati ut che non erano considerati terapeuti, assistevano in gran numero alla casta medica, anticipando la corporazione degli infermieri.
L’istituzione medica nell’antico Egitto, a partire dalla I dinastia, fino alla XIX dinastia, dispone per i medici una assicurazione medica, pensione e la licenza per malattia, ed un orario di lavoro di otto ore giornaliere. Gli egiziani non identificavano le malattie bensì cercavano le cause dei sintomi specifici, che secondo loro erano addebitabili, per lo più, ad agenti esterni che le loro cure tentavano di distruggere o di estromettere; questo modello eziologico era legato sia alla concezione dell’origine del mondo sia alle credenze sulle influenze delle forze superiori. Papiro Ebers L’esame delle mummie ha rivelato malattie quali arteriosclerosi, carie, artrite, vaiolo e tumore ma anche dalle raffigurazioni è possibile dedurre alcune patologie, come per esempio:
- nello studio della figura del faraone Akhenaton si evidenziano arti allungati, cranio dolicocèfalo (cioè allungato nella parte posteriore), viso allungato, fianchi larghi e adiposi, sintomi riconducibili alla sindrome genetica di Marfan, escludendo così la prima ipotesi di Sindrome di Fröhlich (Hera – n.97 – Una sindrome per Akhenaton);
- anche le figlie di Akhenaton avevano crani deformati e mentre in un primo momento si era ipotizzato che fosse una convenzione artistica, oggi è più accreditata la teoria della malattia genetica ereditaria (Hera, n.97 – Una sindrome per Akhenaton);
- il sacerdote Rensi, nella stele, è raffigurato con una malformazione chiamata piede equino ed ha l’arto inferiore atrofizzato, tanto che doveva usare il bastone per camminare;
- la regina Ity di Punt, raffigurata in un rilievo del tempio di Hatshepsut, doveva soffrire di lipodistrofia o steatosi, poiché era obesa e con i fianchi deformati.
Papiro medico di Smith Le malattie più comuni erano:
- cefalea e vene varicose, dovute spesso alla temperatura climatica elevata;
- bilharziosi, per contatto con acqua infetta;
- pneumoconiosi ;
- gobba, dovuta a tubercolosi vertebrale o malformazioni;
- malnutrizione e rachitismo, patologie tipiche della popolazione più povera;
- lebbra ;
- obesità ;
- poliomielite ;
- malattie del tratto gastrointestinale,
Papiro medico di Ebers La sabbia del deserto, se inalata, causava malattie respiratorie e se masticata, insieme con gli alimenti, usurava i denti causando parecchie dolorose patologie. Anche gli occhi, tra sabbia e acqua del Nilo, andavano soggetti a congiuntiviti e il tracoma era molto diffuso, viste le numerose raffigurazioni di individui ciechi.
I medici egizi visitavano il malato accuratamente ed una volta fatta la diagnosi prescrivevano la terapia contro il dolore, come ci dice il testo del “Papiro Edwin Smith”. Molte medicine sono state identificate ed erano costituite per la maggior parte da vegetali quali sicomoro, ginepro, incenso, uva, alloro, e cocomero,
Anche il salice, tkheret in egizio, secondo il ” Papiro Ebers ” era usato come analgesico mentre del loto veniva usato sia il fiore che la radice ed era somministrato come sonnifero. I frutti della palma servivano per curare le coliti, allora molto frequenti; con l’ orzo, si faceva la birra che serviva come eccipiente, o diluente, e con il grano veniva fatta la diagnosi di gravidanza,
Gli Egizi usavano anche elementi animali quali la carne per le ferite, il fegato e la bile per lenire il dolore agli occhi. Di quest’ultima è stata attestata l’efficacia anche di recente. Il latte, sia di mucca, sia di asina che di donna, era integrato come eccipiente e il principio attivo più usato era di sicuro il miele che per le sue tante proprietà serviva per le patologie respiratorie, ulcere e ustioni, come recita il “Papiro medico di Berlino”.
Tra i minerali, usati in medicina, troviamo il natron, chiamato neteri cioè il puro, il sale comune e la malachite che curava le infezioni agli occhi ed era usata sia come farmaco che come cosmetico nella profilassi, Strumentario medico e chirurgico Sempre dal “Papiro Ebers” apprendiamo che, come droga, si usava l’ oppio, chiamato shepen e importato da Cipro, sia per il dolore che per il pianto dei bambini. In alcune raffigurazioni della tomba di Sennedjem, è stata riconosciuta la mandragola, in egizio rermet, usata come sonnifero e per le punture d’insetto.
Esisteva anche la cannabis, shenshenet, che veniva somministrata, in particolare per via orale e per inalazione, ma anche per via rettale e vaginale, mentre l’ elleboro era usato come vero e proprio anestetico, ma in maniera empirica e con dosaggi errati tanto che spesso il malato passava direttamente dalla narcosi alla morte.
Tra le terapie vi erano anche i massaggi, come rappresentato nella mastaba di Khnumhotep, che venivano usati per vene varicose e per lenire numerose patologie il cui sintomo principale era il dolore, Era conosciuta la tecnica delle inalazioni che erano composte da mirra, resine, datteri e altri ingredienti.
- Ma per i morsi velenosi dei serpenti, gli Egizi, non avevano altra cura se non quella di affidarsi alle dee Iside e Mertseger recitando le litanie magiche.
- L’antico popolo della Valle del Nilo ci ha lasciato più di mille ricette ma di sicuro qualcuna è solo molto fantasiosa come quella che, per combattere l’ incanutimento consigliava l’uso di un topo bollito nell’olio.
Olio di palma, ovviamente, perché l’ ulivo arriverà molto più tardi, con la dinastia tolemaica, Nel tempio di Kôm Ombo, nell’Alto Egitto, vicino ad Assuan, sono raffigurati, sulla parte nord del recinto esterno, strumenti medici e chirurgici quali bendaggi, seghe, forbici, bisturi, forcipi e contenitori vari per medicamenti.
Ma recentemente si è ipotizzato che fossero solo attrezzi rituali per cerimonie religiose. Accanto allo strumentario, vi sono alcune ricette mediche con tanto di componenti e dosi. Ma la chirurgia, non si sviluppò come la medicina. forse per scarse conoscenze fisiologiche e per carenza di guerre. A conferma di ciò, sia il “Papiro Ebers” che il ” Papiro Smith”, detto anche “Libro delle ferite”, citano solo dati clinici, pur molto precisi, ma non descrivono interventi chirurgici.
Incredibilmente, vista la pratica religiosa di imbalsamare i morti, vi era scarsa conoscenza dell’ anatomia e della chirurgia specialistica. Gli Egizi, infatti, intervenivano chirurgicamente solo in piccole patologie, come foruncoli o ascessi, o direttamente con l’ amputazione di arti.
Inoltre, pur avendo un’apparente rigorosità, tutte le pratiche mediche dovevano essere accompagnate da specifiche formule apotropaiche, Gli Egizi avevano, comunque, capito l’importanza dell’igiene. Durante il giorno, si lavavano spesso le mani, e facevano la doccia giornaliera, con acqua versata dalle brocche, che erano anche parte integrante del corredo funerario.
Non usavano mai acqua stagnante perché poteva contenere ogni genere di larve. Curavano l’igiene di bocca e denti, effettuata con bicarbonato di sodio, Anche unghie e capelli erano lavati quotidianamente e poiché non esisteva il sapone venivano usati oli profumati e complessi unguenti che rendendo la pelle integra, e quindi non screpolata, impedivano l’introduzione, nell’organismo, di germi e batteri,
- Oltre alle brocche per la doccia, vi erano anche le vaschette per pediluvi raffigurate anche, come geroglifico vero e proprio, nella tomba di Rahotep.
- Vi era l’usanza di togliere i sandali per entrare nei templi che nasceva dall’esigenza di non introdurre impurità dall’esterno.
- Questa regola valeva anche per il sovrano e nella Tavolozza di Narmer, un uomo porta in una mano i sandali del re e nell’altra una piccola brocca con acqua.
Aveva il titolo di ” Sandalaio “. Lo staff del docente di antropologia Brunetto Chiarelli svolse un’accurata indagine sulle mummie per determinare il gruppo sanguigno e quindi una paleogenetica per gli antichi egizi, sfruttando il metodo Pickworth che ha consentito di rilevare tracce di emazie ; la conclusione è stata che il sangue del 40 per cento delle mummie appartiene al gruppo A, mentre il 22 per cento al gruppo B e al gruppo 0 e solo un 17 per cento al gruppo AB,
Quando l’uomo ha iniziato a lavarsi i denti?
Chi ha inventato lo spazzolino da denti? | Dr. Franco Massimo Casella Uno strumento tra i più antichi utilizzati dall’uomo. Secondo le testimonianze archeologiche, sembra che i primi spazzolini da denti risalgano al 3500 a.C., ossia ai tempi degli antichi Egizi e Babilonesi!!! I primi spazzolini sono stati rinvenuti nelle piramidi egiziane ed erano composti da un bastoncino da masticare con una parte finale sfilacciata.
L’unico svantaggio nell’utilizzare il pelo di cinghiale consisteva nella sua ruvidezza sulle gengive. Da qui, pensarono di sostituirlo con il pelo del dorso dei cavalli, che risultava più delicato sulle gengive e sui denti. Gli spazzolini realizzati con il pelo di cinghiale furono utilizzati per molti anni, perché il valore commerciale dei cavalli era nettamente più alto rispetto a quello dei cinghiali, quindi era più conveniente utilizzare i peli ruvidi piuttosto che morbidi.
Come si lavavano i denti nel 500?
Cavadenti – miniatura tratta dal codice Omne Bonum, 1360-75 ca. – Londra, BL. Non ci si pensa mai, ma l’odontoiatria è una delle arti più antiche che l’uomo conosca, almeno da 9000/10000 anni: le prime trapanazioni di denti di cui gli archeologi hanno trovato traccia datano al Pakistan del 7000 a.C., mentre in una mandibola di 6500 anni fa si è riconosciuta l’otturazione di una carie a base di cera d’api. Il verme dentale – miniatura da manoscritto arabo, XVIII sec. – Oxford, Bodileian Library. Quando si parla di problemi ai denti nell’Antichità e nel Medioevo, però, bisogna considerare anche un particolare: la carie non è così diffusa come ai nostri giorni, per via di una dieta molto meno ricca di zuccheri semplici della nostra.
La cosa curiosa è che della carie nell’Antichità vengono date le spiegazioni più varie: Ippocrate e Galeno sostengono sia causata da uno squilibrio di umori dovuto ad una cattiva alimentazione; ma la teoria più originale è quella nota fin dai tempi dei Sumeri e riportata da Plinio il Vecchio del ” verme dentale “, che si genera all’interno della cavità del dente e lo erode provocando appunto la carie.
La teoria del verme dentale sarà considerata valida fino a tutto il Settecento. La Scuola Medica Salernitana eredita queste teorie e vi imposta i suoi rimedi. Giovanni Plateario sposa sia la versione di Ippocrate e Galeno sia quella di Plinio, e prescrive un salasso o una ventosa ad azione decongestionante, oppure purganti vari per espellere gli umori in eccesso, seguiti da impacchi antidolorifici a base prevalentemente di incenso o sciacqui di elleboro e menta decotti nel vino.
Solo in casi estremi raccomanda di estrarre il dente con la sua radice. Anche la cura consigliata dal Regimen Sanitatis è antidolorifica, e consiste in suffumigazioni di semi di porro e semi di giusquiamo, da raccogliere sul dente malato attraverso un imbuto, che hanno effetto sul mal di denti grazie al contenuto di iosciamina.
Lo stesso Giovanni Plateario, però, per eliminare il verme dentale, raccomanda di cauterizzare la cavità con una cannuccia arroventata e di riempirla di “otturazioni” anestetiche a base di teriaca, di oppio o di mirra, e questo ha il doppio effetto da un lato di fermare il sanguinamento e dall’altro di eliminare il dolore alla radice per la bruciatura dei nervi.
Cofone il Giovane, dal canto suo, raccomanda, come trattamento contro la gengivite, di “cauterizzare” la gengiva sanguinante con la calce viva e, cosa ancor più interessante, nota una frequenza del mal di denti da parte delle donne che si truccano troppo: cosa che noi oggi ci spieghiamo con il contenuto di piombo dei cosmetici dell’epoca.
Dove la Scuola Medica Salernitana mostra ancora una volta la sua modernità, però, è nel campo della prevenzione, in questo caso di igiene orale. Soprattutto nel D e Ornatu Mulierum, testo attribuito a Trotula, sono molte le prescrizioni per la cura della bocca e dei denti.
Trotula suggerisce di strofinare frequentemente i denti con un un panno di lino avvolto intorno a della lana umida e intriso di polvere di marmo bruciato, semi di dattero bruciati, natron bianco, una tegola rossa, sale e pomice; gli antenati medievali dello spazzolino e del dentifricio. Il De Ornatu raccomanda inoltre di sciacquarsi ogni sera la bocca con vino odoroso e di masticare frequentemente durante la giornata finocchio, levistico o prezzemolo per mantenere i denti bianchi, le gengive pulite e l’alito profumato.
Trotula dà anche una cura contro la gengivite con una polvere a base di calce viva, zolfo, orpimento, polvere di zucca bruciata e pepe spalmata sulle gengive malate, dopo averle sciacquate con un decotto di aceto caldo e di tasso barbasso ad azione emolliente, rinfrescante e decongestionante.
Il bello è che molti dei componenti vegetali e minerali che Trotula consiglia sono ancora oggi usati come ingredienti di dentifrici e colluttori: il finocchio e il levistico così come il carbonato di calcio contenuto nel marmo o il carbonato di sodio sono usati correntemente dall’industria dell’igiene orale.
Andiamoci dunque piano con la nostra immagine di un Medioevo tutto pinze e cavadenti Bibliografia: M. Bifulco, M. Amato, G. Gangemi, M. Marasco, M. Caggiano, A. Amato, S. Pisanti, o Dental care and dentistry practice in the Medieval Medical School of Salerno, in «British Dental Journal», vol.221 n.2, 22 luglio 2016, pp.1-3.
Come si lavavano i denti nel 700?
La “lavata didenti”di Maria Antonietta – Gli studi e le conoscenze igieniche attuali dimostrano quindi quanto siano importanti la pulizia e l’attenzione a denti e gengive per ottenere il benessere generale, ma ciò che forse un po’ ci sorprende è che anche in un passato non tanto prossimo si considerava fondamentale l’igiene dentale, almeno da parte delle donne.Nel ‘700 le dame di Versailles, per sfoggiare denti bianchi ed avere un alito fresco, utilizzavano la cenere di rosmarino che consisteva nella bruciatura di grossi gambi di rosmarino privati delle foglie; la cenere derivata da questa operazione doveva poi essere mescolata con le foglie stesse, così che potesse assorbirne tutto il profumo.
Perché i romani non avevano la barba?
RADERSI PER I ROMANI
SUMERI |
Presso gli antichi popoli la barba, in quanto prerogativa del maschio adulto, è stata spesso considerata un simbolo di potere. Anzi, gli anziani erano quelli che portavano la barba più lunga, come segno di età, di saggezza e di comando, da cui il detto latino: ” Barba virile decus, et sine barba pecus ” (la barba è decoro dell’uomo e chi è senza barba è pecora) Di solito i capelli lunghi andavano d’accordo coi capelli lunghi, più il popolo era raffinato più si prendeva cura di barba e capelli.
Solo in tempi inoltrati, tranne eccezioni, si usò sbarbarsi e tagliarsi i capelli come segno di accuratezza e civiltà, I MESOPOTAMICI I sumeri più antichi si radevano accuratamente i capelli e la barba, ma dopo il secondo millennio a.c, sotto l’influenza degli Accadi semitici, gli uomini cominciano a portare la barba, tagliata quadrangolare, e cominciano a arricciarsi i capelli e la barba.
I semiti mesopotamici portavano barbe lunghe e folte, accuratamente pettinate e arricciate. GLI EGIZI In Egitto il radersi era considerato, oltre che una buona regola igienica, un dovere religioso. Infatti, proprio per questa usanza gli Egizi usavano vari rasoi contenuti in appositi astucci, rinvenuti anche dagli archeologi.
- Tutti nobili si radevano in tutto il corpo salvo poi indossare elaborate parrucche colorate, inanellate, impreziosite in vari modi.
- Tuttavia non viene ignorata la funzione simbolica della barba per i faraoni (comprese le femmine come la regina Hatshepsut) vengono raffigurati con barbe finte.
- Si narra che quando un ragazzo guariva da una malattia, la famiglia gli tagliava i capelli e li metteva su di una bilancia, quindi versava il corrispettivo in oro e argento ai custodi degli animali sacri.
I GRECI Nell’antica Grecia venne ritenuta segno di forza e di virilità per cui si faceva crescere in abbondanza. Anche i greci del periodo classico portano la barba. Gli strateghi ateniesi Temistocle, Pericle o Milziade ma pure gli spartani Pausania e Leonida portavano una corta e curata barbetta.
- Anzi a Sparta i codardi erano condannati a portarla su un solo lato del viso, in modo che fosse facile distinguerli anche a distanza (Plutarco, Vita di Agesilao, par.30).
- L’uso del rasoio si diffuse durante l’età macedone, prima perchè Alessandro Magno (356 – 323 a.c.) lo impose ai soldati.
- Si dice per timore che i nemici potessero afferrarli per la barba, ma sicuramente per distinguersi dai nemici barbuti che non erano organizzati in società evolute come la Grecia.
Comunque, siccome Alessandro era un mito e una leggenda,. per imitazione dello stesso Alessandro che, secondo alcune fonti, era quasi glabro, tutti i macedoni usarono sbarbarsi. Diciamo che Alessandro iniziò la propria ascesa troppo giovane per avere una barba folta quanto i suoi avversari persiani e poi capì l’importanza di diversificarsi dai nemici.
I Greci dovevano sentirsi superiori, solo così potevano vincere. Per alcuni autori barbaro veniva dalla parola bar = balbettio, ritenendo che i linguaggi stranieri fossero una specie di balbettii. Quindi tutti gli stranieri per i greci sarebbero stati barbari, romani compresi. Ma i greci non considerarono mai i romani dei barbari, tanto è vero che quando i persiani avanzarono per conquistarli aprirono le porte ai romani affinché, si li conquistassero, ma pure li proteggessero dai persiani, e così fu.
Secondo alcuni autori il termine barbaro sarebbe squisitamente latino e designerebbe gli uomini che non si tagliano la barba, e visto che nessuno dei popoli allora conosciuti si tagliava la barba, ne conseguì che tutti gli altri popoli erano rozzi e inferiori.
- In effetti questa spiegazione sembrerebbe più semplice e convincente.
- D’altronde nessun popolo riterrebbe che le lingue straniere possano dare l’idea di balbettamenti, per comprendere le cose occorre immedesimarsi negli altri.
- Anzi spesso i popoli meno evoluti sono estremamente rapidi nella loro lingua.
Spesso un orientale è più veloce di noi. In genere un popolo più riflessivo parla più lentamente. Abbiamo detto che i Greci antichi portavano la barba, ma solo quelli più antichi. Guardiamo gli Dei, A portare la barba sono Giove, Saturno, Nettuno, Ade e Pan.
Tutti gli altri sono rasati: Mercurio, Apollo, Bacco, persino il rude Marte è sbarbato. Sembra dunque che i greci si siano sbarbati prima dei romani, e dalla grecia la moda si sarebbe diffusa a Roma, dove assunse una notevole importanza il rito della “depositio barbae”, ossia il primo atto di rasatura del giovinetto.
Plutarco e Dione affermano che la barba sia durata fino ai tempi di Alessandro Magno (356 – 323 a.c.), il quale ordinava alle truppe la rasatura totale della faccia, alla vigilia di ogni battaglia. Poco credibile, non è che combattessero ogni giorno, per cui vederli rasati sarebbe stata l’eccezione.
- Come abbiamo detto invece sembra che Alessandro Magno facesse sbarbare i soldati, punto e basta.
- Alessandro doveva aver pensato che costringere i soldati a radersi non solo evitava sporcizia ma obbligava alla regola e alla disciplina.
- I ROMANI I romani più antichi non si radevano.
- Si narra che Brenno, l’autore del «sacco di Roma», entrato alla testa dei Galli nel Campidoglio, fu sorpreso e sconcertato dal trovar presenti soltanto gli anziani senatori tutti barbuti e in attesa, pronti a perire per la patria e siamo nel 390 a.c.
Circa cento anni dopo la moda di Alessandro Magno ha conquistato tutta la Grecia e si è diffusa anche a Roma, tanto che, nel 299 a.c., Publio Ticino Menea (o Menas) introduce, per primo, come informa Varrone, i barbitonsori a Roma, conducendo dalla Sicilia una truppa di barbieri.
- La Sicilia era praticamente greca, per cui prima di Roma aveva già assorbito la moda.
- Era anche logico che i romani copiassero costumi dai greci perchè essi non giudicarono barbara la cultura greca che anzi nell’arte considerarono superiore alla loro, anche se i Greci erano inferiori militarmente e furono sottomessi a Roma.
Per Orazio ” Graecia capta ferum victorem cepit “, cioè ” la Grecia conquistata conquistò il selvaggio vincitore romano “. Plinio narra che Scipione Africano (235-183 a.c.) fu uno de’ primi a farsi radere. Essendo un eroe è logico che venisse imitato largamente.
ADRIANO |
Farsi la barba ogni mattina, specie con le lame dell’epoca, non doveva essere un compito da nulla, ma i romani lo facevano anche se erano soldati, nei castri e negli accampamenti più semplici. Radersi equivaleva a mantenere autorità, disciplina e senso della romanità.
Giulio Cesare si faceva la barba ogni mattina, anzi si depilava in tutto il corpo ed esigeva che anche i suoi soldati si radessero. Si sa che Cesare ebbe un grande ascendente sui suoi militari che cercavano in ogni modo di compiacerlo. Ma sembra ci prendessero anche gusto, tanto che Cesare arriva a dire: ” I miei soldati si profumano ma combattono bene “.
Si sa che Cesare era bisessuale, ma anche nel suo esercito dovevano esserci tendenze svariate. Il suo erede, e figlio adottivo Ottaviano sembra fosse di costumi più severi, però molto incline alla pubblicità personale. ” Tutta la città, nel settembre del 39 a.c.
Venne informata del fatto che Ottaviano Augusto si era fatta la prima barba “. Intendiamoci, la barba che si deponeva nel tempio non erano 4 peli sparsi, ma una barbetta considerevole, però in genere la barba si deponeva sui 16 – 18 anni, sulla data abbiamo qualche riserva, sul fatto che ne avesse fatto una festa ci crediamo, non era tipo da passare sotto silenzio.
Anche lui come suo zio si radeva e depilava, ma si dice non tenesse molto alla cura dei capelli. Non direi, se guardate le statue ha sempre la stessa disposizione di capelli, della stessa lunghezza, con la stessa frangetta. Tutti i romani si affrettarono a copiarlo e la barba, ormai passata di moda, rimase un attributo tipico dei filosofi e dei poeti, addirittura i padroni facevano radere anche gli schiavi per l’inestetismo.
GIULIANO |
Infatti Nerone, che già non era un Adone, si faceva crescere la barba sul collo perchè non amava che vi si accostasse il coltello del barbiere (il tonsor). Vero è che Nerone aveva avuto come istitutore un filosofo (Seneca) e che pertanto si sentiva filosofo anche lui, ma ” Philosophum non facit barba ” (la barba non fa il filosofo) e così anche con la barba Nerone cantava male e filosofava peggio.
- Tanto più che la sua barba cresciuta su un doppio mento e che si riunificava a delle basette lunghe e ricce era quanto di più potesse imbruttire un imperatore che già di per sè non era il massimo.
- Sia Vespasiano che suo figlio Tito si rasavano anche se non avevano la pettinatura con la frangetta poichè erano piuttosto calvi.
Anche Domiziano si rasava e così Nerva e Traiano. Consideriamo che se si rasavano gli imperatori si rasavano anche i sudditi. Con Adriano, amante della cultura classica greca, le cose cambiano, per amore della filosofia greca si lascia crescere la barba.
- Si disse anche che avesse una brutta cicatrice e che intendesse coprirla così, fatto sta che anche i suoi successori: Antonino Pio, Lucio Vero, Marco Aurelio, Settimio Severo, e Caracalla non si radono affatto.
- Nemmeno Giuliano (332-363 d.c.) si radeva.
- L’imperatore in risposta agli abitanti della cristianissima e raffinata Antiochia, che lo canzonavano con alcuni versi per la sua barba, scrisse un’operetta satirico-polemica intitolata Misopogon (L’odiatore della barba), nel 361-362.
« In essa gli Antiocheni risultano irrisi come faciloni a tutte le novità, come pedanti lussuriosi, ignoranti presuntuosi, delicati, farisei, nemici delle barbe e della antica severità dei costumi e non comprensivi di quella Romanità prisca e sana, veramente civile e imperiale ».
- E chi più ne ha più ne metta.
- Veramente il romano classico si radeva ma Giuliano odiava la nuova società cristiana, intransigente, ignorante e gretta, e soprattutto che gli aveva sterminato tutta la famiglia.
- I RASOI Si sono trovati molti rasoi risalente all’età preistorica o etrusca ma pochissimi dell’età romana: questo perché mentre quelli più antichi erano in bronzo e si sono conservati quelli romani erano in ferro e sono stati consumati dalla ruggine.
D’altronde in ferro avevano una lama più sottile di quelle in bronzo, per cui tagliavano meglio. Questi rasoi in ferro, venivano all’inizio affilati sulle mole di pietra, poi su lame di coltello e poi su strisce di cuoio duro. Comunque sulla pelle nuda non erano il massimo, per giunta si usavano senza sapone, ma di unguenti se ne spalmavano, prodotti in oriente e occidente.
COLONNA DI TRAIANO |
IL TONSOR Tutti amanti del grecismo? No, magari tutti stanchi del tonsor imperiale. L’imperatore, come tutti i romani si affidava alle mani del tonsor, il barbiere, privato e costoso per i più ricchi, o pubblico che in una bottega o addirittura all’aperto in strada, tagliava capelli e barbe a chi passava.
RASOIO ROMANO |
.,Le stimmate che io porto sul mento quante un grugno ne ostenta di pugile in pensione, non mia moglie me l’ha fatte, folle di furore, con le sue ugne, ma il braccio scellerato d’Antioco e il suo ferraccio.» (Marziale) All’inizio del II secolo d.c., la maggior parte dei romani tagliavano i capelli con una forbice di ferro, forfex, le cui lame avevano un perno nel mezzo e due anelli alla base per la presa.
- Con l’avvento dei tonsores però anche l’acconciatura, accanto alla rasatura, ebbe il suo posto nella bottega del barbiere.
- Giovenale, magari un po’ esagerato, accusa i tonsores di ” disturbo alla quiete pubblica ” a causa delle urla raccapriccianti che da lì si levavano ad ogni ora del giorno.
- Durante l’impero si usò maggior cura ai capelli, con l’uso di cosmetici per mantenerli morbidi e brillanti.
Comunque si tagliavano capelli, barba e baffi, la trascuratezza non era vista di buon occhio, perchè l’igiene raccomandava il taglio e perfino in guerra i soldati si rasavano ogni giorno e nessun militare antico fu così ligio alla regola, nè così igienista.
ESEMPI DI RASOI ROMANI |
La lettura, molto divertente, vede i “tonsores” come sadici sanguinari e i clienti come vittime sacrificali ai quali, più d’una volta, oltre ai baffi veniva tagliato un pezzo di naso, poi ricucito immediatamente dallo stesso tonsor. Perchè i tonsores facevano ogni tanto da cavadenti e chirurghi.
Nel II secolo d.c. l’esigenza per i più raffinati di recarsi più volte al giorno dal barbiere fa sì che le loro botteghe diventino luogo d’incontro per oziosi, secondo alcuni: « Hos tu otiosos vocas inter pectinem speculumque » (Chiamali oziosi questi tra il pettine e lo specchio). In effetti molti personaggi s’incontravano nella tonsorina dall’alba sino all’ora ottava proprio per sentire le novità, i pettegolezzi, avere informazioni o fare affari, un movimentato salotto per soli uomini, e e uno dei principali media dell’epoca.
Per tutti questi motivi la tonsorina era sempre più affollata, diversi tonsores si arricchirono e divennero rispettabili cavalieri o proprietari terrieri come Marziale nei suoi Epigrammi o Giovenale nelle sue Satire spesso riferiscono ironizzando sugli arricchiti.
RASOIO ETRUSCO |
Al centro domina lo sgabello su cui siede il cliente che veniva coperto da una salvietta o da un camice (involucrum). Attorno si prodigano il tonsor e i suoi aiutanti (circitores) per tagliare o sistemare i capelli secondo la moda che in genere è quella dell’imperatore in carica.
- Gli antichi rasoi erano in genere “lunati”, cioè a mezza luna, o almeno lo erano i migliori.
- La funzione della lunatura era sicuramente quella di assicurare un taglio a scorrere.
- Le acconciature degli imperatori da Traiano in poi, fatta eccezione per Nerone che dedicava particolare attenzione alla chioma, in genere seguivano quella dell’imperatore Augusto che amava i capelli corti con la frangia sulla fronte, identica a quella che portava il suo padre adottivo, il grande Cesare, cui cercava disperatamente di somigliare, anche nei ritratti statuari.
All’inizio del II secolo quindi i romani si accontentavano di un’acconciatura a colpi di forbice (forfex) che di solito aveva delle lame unite da un perno al centro con degli anelli alla base, non molto efficiente per un taglio uniforme, a giudicare dalle scalette che sfregiavano la capigliatura così come nota Orazio ironizzando su se stesso.
E l’abilità del tonsor nel tagliare i capelli è un altro problema: « Si curatus inaequali tonsore capillos Occurri, rides » « Se mi è capitato di avere acconciati i capelli a scaletta da un barbiere, tu te la ridi. » (Orazio) E’ possibile che c’entri con questo la moda di farsi arricciare i capelli come fecero Adriano e suo figlio Lucio Cesare e il figlio di questi Lucio Vero, rappresentati nelle effigi con capelli inanellati da abili tonsores che si servivano del ferro (calamistrum) scaldato al fuoco, lo stesso che veniva usato per le donne.
La moda si estese anche agli anziani che con i riccioli tentavano a volte di nascondere la calvizie, cosa che diverte molto la lingua tagliente di Marziale, bastava un colpo di vento per far ricomparire «.,il cranio nudo tutto circondato da filacce di nuvoli ai suoi lati.
RASOI ROMANI |
Insomma si facevano radere tutti, anche i meno abbienti, da un tonsor pubblico o da un servo della casa. Essendo a costo anche molto basso a Roma nessuno si radeva da solo, ma nelle campagne la situazione cambiava. Ci si radeva anche lì perchè radersi equivaleva ad essere un buon romano, un po’ come oggi negli USA un cittadino ci tiene ad essere un buon americano.
- Un buon romano, pure se contadino, andava a scuola, sapeva leggere scrivere e far di conto, teneva in ordine il suo larario, si radeva la barba e si tagliava i capelli.
- Rari erano i barbieri che non sfregiassero regolarmente i loro clienti tanto da essere celebrati dai poeti che come Marziale celebrano con un epitaffio il bravo tonsor Pantagato ormai defunto: «.
,Pur umana e leggera tu gli sia Terra, e lo devi, più leggera della sua mano d’artista non sarai » Ma per gli altri, che non fossero clienti di Pantagato, radersi era una sofferenza: vi erano barbieri lentissimi nella rasatura per non tagliare i loro clienti, tanto che Augusto nel frattempo poteva dedicarsi al suo lavoro scrivendo o leggendo, ma per altri era un calvario.
- All’obbligo sociale di radersi potevano sottrarsi solo i filosofi e i poeti; anche gli schiavi erano costretti dal loro padrone di farsi radere da un tonsor, pubblico o più economicamente da un servo della casa.
- Certo è che in città nessuno si radeva da solo, ma nelle campagne il contadino doveva adattarsi con le forbici e il rasoio nelle feste.
Con la caduta dell’Impero tornò la barbarie e le barbe si allungarono, il grande sogno della civiltà romana che aveva illuminato il mondo si spense, e si precipitò nell’Evo oscuro, dove curarsi troppo era peccato, e l’importante era pregare. BIBLIO – Jean-Claude Fredouille – Dictionnaire de la civilisation romaine – Larousse – Parigi – 1986 – – La vita quotidiana a Roma – Universale Laterza – Bari – 1971 – – Antonietta Dosi – Spazio e tempo – (coautore Francois Schnell) – Vita e Costumi dei Romani Antichi – Quasar – Roma – 1992 – – Claude Nicolet – Il mestiere di cittadino nell’antica Roma – Roma – Editori riuniti – 1980 – – David Metz – Daily Life of the Ancient Romans – : RADERSI PER I ROMANI
Quanto si lavavano i romani?
“Lo sporco non è né buono né cattivo: è solo una cosa fuori posto e la natura non si preoccupa di cosa ne pensiamo, ma di come ci prendiamo cura di noi stessi al fine della sopravvivenza della specie”. Nico Zardo “Lo sporco non è né buono né cattivo: è solo una cosa fuori posto e la natura non si preoccupa di cosa ne pensiamo, ma di come ci prendiamo cura di noi stessi al fine della sopravvivenza della specie”.Nei fatti la nostra cultura ci porta a dare un valore decisamente positivo a ciò che è pulito proiettandolo in valori morali.
- Mutuati da concetti di origine religiosa o da principi comportamentali convenzionali.
- Virginia Smith, Clean, Oxford University Press, 2007).
- La necessità per l’uomo di curare l’igiene ha una forte componente istintiva: come perpetuare la specie, procurarsi il cibo, difendersi da pericoli esterni.
- Fino dalle origini ha segnato le modalità della sua evoluzione nel tentativo di evitare agenti nocivi portatori di malattie infettive.
Trenta o quarantamila anni fa i primi abitanti della terra hanno iniziato a subire malattie come il tetano per le piccole ferite, o la rabbia per i morsi di animali. In Africa i cacciatori sono stati probabilmente afflitti dalla malattia del sonno trasportata dalla “mosca tse – tse”, un parassita dei grandi branchi di erbivori.
Pur non comprendendo le vere origini di questi e molti altri pericoli debilitanti, l’uomo si rese conto che queste “aggressioni” erano legate a luoghi e situazione che, per sopravvivere, doveva imparare a evitarli curando il proprio corpo e scegliendo, attraverso le migrazioni in regioni dai climi temperati e freddi, un ambiente con un minor quantità di parassiti.
Con il Neolitico (circa 10.000 anni a.C.) iniziò per l’uomo il passaggio da una attività di caccia/raccolta a una basata sull’agricoltura e l’allevamento, scegliendo luoghi con disponibilità di acqua, associandosi in gruppi che meglio avrebbero potuto svilupparsi e difendersi.
Se da un lato la formazione di comunità organizzate liberò l’uomo dalla minaccia della fame, dall’altro fu portatrice di non poche insidie: l’accumulazione di rifiuti umani e animali erano causa dell’inquinamento dell’acqua e del cibo causando infezioni e febbri. La convivenza a stretto contatto con animali domestici facilitò la trasmissione di malattie.Per molti secoli, e fino alle scoperte scientifiche di metà del IXX° secolo, l’uomo dovette subire la falcidia di malattie ed epidemie imputando le cause a destini avversi o divinità vendicative e riuscì a sopravvivere grazie a progressivi adattamenti biologici, a rimedi naturali, alla modificazione dell’ambiente e all’adozione di pratiche igieniche che allontanavano l’aggressione di microrganismi patogeni.
Dopo il 5000 a.C., con l’affermarsi e consolidarsi di nuove strutture sociali, basate sull’agricoltura e l’allevamento, vengono a formarsi aree di civiltà avanzata con la presenza di città stato in diverse zone dell’Eurasia: in Mesopotamia fra il Tigri e l’Eufrate, in Egitto lungo il fiume Nilo, in India, lungo la valle dell’Indo, in Cina lungo la valle del Fiume Giallo e sulle coste del Mediterraneo.L’abbondanza di prodotti sia nell’agricoltura che nell’allevamento determinano la nascita di commerci sia interni che tra i diversi centri di produzione e l’esigenza di una migliore organizzazione sociale favorisce nella popolazione la nascita di nuove attività.
Quindi mentre alcuni restano agricoltori o allevatori altri diventano artigiani, soldati, commercianti, sacerdoti formando una struttura sociale che richiede un capo alla sommità della piramide gerarchica e una classe dirigente che sovraintende alle esigenze comuni della gestione socio-politica e della religione.La formalità esteriore, che differenzia chi detiene potere o ricchezza dagli altri, impone sue regole di rappresentazione sia con la costruzione di palazzi ma anche con la cura dell’abbigliamento e del corpo.
Bellezza e aspetto fisico curato diventano dunque elementi sostanziali delle esibizione di un potere che associava nell’immagine la pulizia esteriore alla purezza spirituale e morale, e l’acqua è l’elemento attorno al quale si sviluppa questa cultura.Le pratiche igieniche erano in parte diverse da quelle che conosciamo noi oggi.
Vediamo più da vicino le consuetudini in materia che sono all’origine della civiltà occidentale.In “Igiene e bellezza nell’antico Egitto”, (Aboca editore, 2005), Alessandro Menghini, docente all’Università di Perugia, compone un quadro molto dettagliato delle abitudini personali di quella popolazione di cui riportiamo alcuni importanti aspetti.
Per le particolari condizioni climatiche in cui vivevano, aride nel deserto e umide sul Nilo, gli antichi egizi ricorrevano al bagno giornaliero come a una pratica necessaria sia per il refrigerio del corpo sottoposto al caldo e al vento, sia per limitare al minimo, e contrastare, l’azione dei parassiti.
- Era per loro normale lavarsi le mani prima dei pasti, anche perché – per molti secoli – hanno costituito il mezzo per portare il cibo alla bocca.
- Si pulivano i denti utilizzando bicarbonato di sodio sciolto in acqua.
- I bagni abitualmente venivano fatti nel Nilo o negli stagni: l’acqua era prima raccolta in grandi recipienti e poi versata sulle mani e su altre parti del corpo.
Esisteva anche una specie di doccia, costituita da un setaccio o da un cesto, attraverso il quale veniva filtrata l’acqua. Le case dei nobili disponevano di un bagno, così come alcune abitazioni di lavoratori. Nel palazzo reale, poi, si potevano trovare delle vere e proprie camere da bagno ed esisteva anche il titolo di “capo della camera da bagno”.
- Tutti, sottostavano rigidamente alla regola di radersi di frequente il capo ed il corpo.
- La cosmesi era importante per l’igiene.
- Poiché non esisteva il sapone, per mantenere la pelle pulita venivano usate delle terre o dei sali e per ammorbidire le zone da rasare; oli e unguenti venivano sfregati sul corpo per contrastare l’odore della pelle e prevenire gli effetti nocivi del sole o del vento secco.Secondo Erodoto, storico greco del V secolo a.C., “i sacerdoti si radevano il corpo tutti i giorni, in modo tale da essere privi della presenza di pidocchi o di altre impurità, nel momento in cui effettuavano i riti”.
Le acque del lago sacro del tempio non solo pulivano il corpo, ma purificavano anche “l’anima”.Gli uomini si radevano la barba utilizzando dei rasoi, mentre per la depilazione si faceva ricorso ad attrezzi simili alle nostre pinzette. Per migliorare il loro aspetto le donne era abituate a truccarsi il viso.
- Inoltre, dipingersi le palpebre e le ciglia con polvere di incenso bruciato misto a miele o a resine, possedeva un potere curativo, in quanto costituiva, oltre ad un abbellimento personale, una difesa contro le malattie oculari.
- Nell’antico Egitto, l’unzione era pratica comune in quanto di sapore religioso, igienico e salutare, tesa a mantenere giovani i corpi e ad assicurare l’immortalità.
La terapia medica ebbe inizio con la scoperta di un’intima corrispondenza tra malattie e benefici ricavati da molti prodotti, in particolare da piante medicinali. Sempre secondo Erodoto, in Egitto vi erano specialisti per ogni tipo di malattia: oculisti, dentisti, internisti, ecc.
- La malattia, però, veniva attribuita anche ad agenti esterni immateriali, un soffio o un demone, che entrato nel corpo lo perturbava.
- Gli Egizi avevano un grande spirito di osservazione e sperimentazione e la loro farmacopea andò arricchendosi sempre più di rimedi vegetali, minerali e animali.
- Se gli acquedotti costruiti dai Romani costituiscono indubbiamente opere determinanti per lo sviluppo della civiltà, le opere idrauliche realizzate da Sumeri (3000 a.C.) e Assiri (1950 a.C.) in Mesopotamia per portare acqua alle loro città e irrigare i campi non sono state certo da meno.
E se già attorno al 2000 a.C. le città della valle dell’Indo, Harappa e Mohenjo-Daro, potevano vantare la presenza di latrine collegate a rudimentali condotti fognari, è nel Palazzo di Cnosso di Creta (1700 a.C.) che gli archeologi hanno individuato il primo wc con sciacquone (vedi a pagina 86) e la prima vasca da bagno della storia.
Oltre ai raffinati servizi di dotazione regale, anche la locanda che sorgeva accanto al palazzo era munita di servizi igienici e disponeva persino di un lavapiedi, consistente in un bacino in pietra rettangolare poco profondo, incassato nel pavimento e provvisto di tubo di immissione, sfioratore e foro di scarico con tappo.
Il termine igiene (dal greco hygieine che significa sano, forte) deriva da Igea, figlia del guaritore Esculapio, che nella mitologia greca era indicata come dea della salute. Per i medici greci della scuola di Ippocrate (460-c.377 a.C.) l’igiene era quella branca della medicina dedicata all'”arte della salute”.
Il corpo era inteso olisticamente come uno stato dinamico di interazione tra quattro elementi: acqua, terra, fuoco, aria, che corrispondevano ai quattro “umori” che componevano il corpo: la bile gialla e nera, sangue e flegma1 le cui alterazioni avrebbero potuto causare la malattia. L’obbiettivo della pratica igienica era quello di raggiungere un equilibrio qualitativo e umorale all’interno del corpo della persona.
Per ottenerlo era necessario rispettare regole riguardo la dieta alimentare, l’esercizio fisico, l’attività sessuale, un giusto rapporto tra sonno e veglia. Particolare cura era messa nell’alimentazione con precise indicazioni che dettagliavano quando fosse meglio mangiare certi tipi di carne o cereali e come fosse più opportuno cuocerli e cucinarli (Ippocrate ci ha lasciato 53 libri sulla scienza medica dell’epoca).
Pur basandosi su principi empirici i medici greci erano molto apprezzati per i loro rimedi le cui alternative erano costituite dai rituali di superstizione per placare l’ira degli dei (!).Un importante riconoscimento dell’igiene sociale è contenuto nella Costituzione degli Ateniesi dove Aristotele stabilisce la necessità di un servizio pubblico per la raccolta dei rifiuti urbani che debbono essere scaricati a non meno di due chilometri dai confini della città e dichiara: “Alcuni lavori sono più nobili, ma altri sono più che necessari”.
Robert Flacelière, professore di letteratura greca all’Università di Parigi, nel suo “La vita quotidiana in Grecia nel secolo di Pericle” (RCS libri S.p.A., 1998), descrive le pratiche igieniche quotidiane dei Greci antichi – che riportiamo in sintesi nel paragrafo successivo – per i quali igiene ed esercizio fisico erano indispensabili alla salute e al benessere.
- Pisistrato e i suoi figli, nel VI secolo a.C., fanno costruire ad Atene fontane monumentali dove le donne vanno a riempire la brocca, ma dove chi vuole può fare la doccia mettendosi direttamente sotto il getto.
- Se la fontana è munita di vasca, il bagno è proibito per evitare il rischio di contaminazioni.Nell’Atene del V secolo si moltiplicano le palestre e i ginnasi, muniti tutti di fontane, di vasche per le abluzioni e perfino di piscine.
La piscina circolare del ginnasio di Delfi (quasi 1O metri di diametro interno), profonda quasi due metri, consente di nuotare. Prima di fare il bagno in piscina gli atleti si lavano in vasche collocate sotto le fontane. Anche Socrate, già anziano, si mette a fare esercizio “per tirar giù la pancia, che aveva fuor di misura”.
Verso la fine del V secolo a.C., al bagno all’aria aperta subentra la stanza da bagno, più confortevole, dove l’arrivo e il deflusso dell’acqua sono assicurati da tubi di piombo.Per le abluzioni parziali e per il bagno dei bambini ci sono bacini e bacinelle rotonde od ovali, di metallo, di terracotta o di legno.
Ma la vasca da bagno più diffusa è un grande contenitore circolare, su un piede piuttosto alto, con il basamento svasato e sormontato da un capitello. Queste vasche devono essere riempite e svuotate a mano; l’acqua viene prima scaldata in un paiolo. I bagni caldi, però, sono messi all’indice dai sostenitori del rigore spartano.
Verso la fine del V secolo si diffondono ad Atene bagni pubblici dove vasche individuali sono disposte a corona intorno a una sala circolare riscaldata. Il basso costo li rende accessibili anche ai meno abbienti che d’inverno vi trascorrono diverse ore al giorno per riscaldarsi. Al bagno pubblico si va per lavarsi – di regola prima di cena – ma anche per fare quattro chiacchiere con gli amici.
In molti bagni pubblici erano previste sale riservate alle donne per lo più appartenenti alle classi povere, alle cortigiane o alle schiave. Le ateniesi della borghesia potevano permettersi di fare il bagno nella loro casa. Roma, a partire dal III° secolo a.C.
fece proprie molte abitudini igieniche dei Greci sviluppandole con la costruzione di acquedotti che, in età imperiale, erano in grado di fornire più di 1.000 litri d’acqua a testa (oggi i consumi delle città europee si aggirano sui 300 litri a testa) e terme che potevano accogliere 1.600 persone, migliaia di fontane, bagni e latrine pubbliche.
I medici più quotati erano greci e a loro si rivolgeva chi aveva il dubbio che le malattie non fossero necessariamente una maledizione degli Dei.Gli antichi Romani curavano il proprio corpo quanto bastava alle esigenze della pulizia personale e dell’igiene.
“Si lavavano tutti i giorni le braccia e le gambe, per la necessaria pulizia dopo il lavoro; ma solo ogni nove giorni facevano un bagno completo”, ci ricorda Seneca.A Roma il bagno caldo quotidiano preso alle terme non era necessariamente un fatto di pulizia personale, era un sollievo fisico che non si negava né ai miserabili, né agli schiavi, e che divenne nella città eterna, ma anche nelle estreme province dell’Impero, il fulcro o il pretesto per un’intensa vita sociale.Le terme pubbliche e private, che aprivano i battenti a mezzogiorno e chiudevano al tramonto, erano considerate un luogo d’incontro quotidiano, dove trascorrere, tra bagni (caldi, tiepidi e freddi) esercizi ginnici e conversazioni, buona parte della giornata.
L’iniziale separazione tra uomini e donne, realizzata attraverso la consuetudine di impianti o di orari distinti, scomparve gradualmente sino a essere abolita nel Tardo Impero. Se le dimore private più lussuose si dotarono di attrezzature termali spesso assai elaborate, persino le abitazioni più modeste ebbero non di rado la possibilità di usufruire di impianti “di vicinato”: a Ostia Antica sono ancora visibili le strutture adibite a tale scopo, direttamente accessibili da più insulae.Con il declino dell’Impero i centri urbani, sotto la spinta di invasioni, guerre e carestie e pestilenze (la prima comparsa della peste si registra nel 547 d.C., sotto il regno di Giustiniano), iniziarono a spopolarsi.
- La decadenza delle opere preposte al rifornimento idrico della città, portò all’abbandono anche gli impianti termali.
- Il cristianesimo impose profondi mutamenti al culto del corpo in nome di un ideale di vita contemplativa che tendeva inizialmente a escludere anche alcune consuetudini igieniche legate, nell’immaginario collettivo, al costume pagano.1.
L’acqua corrisponde alla bile gialla, detta anche collera, e ha sede nel fegato, la terra alla bile nera e ha sede nella milza, il fuoco al sangue la cui sede è il cuore, l’aria alla flemma (o flegma) e ha sede nella testa. Seneca nelle sue “Epistole” ci ha lasciato una descrizione molto puntuale e colorita di quello che poteva succedere alle terme: «Abito proprio sopra un bagno; immaginati, un vocìo, un gridare in tutti i toni che ti fa desiderare d’esser sordo; sento il mugolìo di coloro che si esercitano coi manubri; emettono sibili e respirano affannosamente.
- Se qualcuno se ne sta buono buono a farsi fare il massaggio, sento il picchio della mano sulla spalla, e un suono diverso a seconda che il colpo è dato con la mano piatta o incavata.
- Quando poi viene uno di quelli che non può giocare a palla se non grida e incomincia a contare i colpi ad alta voce, è finita.
C’è anche l’attaccabrighe, il ladro colto sul fatto, il chiacchierone che, quando parla, sta a sentire il suono della sua voce; e quelli che fanno il tuffo nella vasca per nuotare, mentre l’acqua sprizza rumorosamente da tutte le parti. Ma per lo meno questi metton fuori la voce che è la loro.