Cosa Mangia Un Anziano Senza Denti?

Come preparare semplici e gustose ricette per anziani senza denti. – Le ricette morbide o frullate sono l’ideale per gli anziani senza denti o che hanno particolari difficoltà di masticazione, Servono soprattutto a prevenire e a correggere la malnutrizione o la disidratazione, ma anche a soddisfare i fabbisogni nutrizionali giornalieri degli anziani che faticano a mangiare i cibi solidi. –> Scopri perché gli anziani rifiutano il cibo. Le ricette per anziani senza denti sono composte per lo più di cibi naturali dalla consistenza morbida, come ad esempio lo stracchino, il pesce, le uova, la frutta molto matura e lo yogurt. Sono perfetti anche la purea di patate, i flan, i soufflè, i budini, le creme, le verdure morbide e la besciamella. Si adattano alla dieta dei pazienti con difficoltà di masticazione anche i frullati di verdure, prosciutto o carne. È importante tenere conto che ogni piatto deve fornire circa 15 g di proteine e 300 calorie in un volume di 200-250 ml. Preparando almeno due piatti semi-liquidi con dessert, a ogni pasto, si riesce a coprire circa il 70-80% del fabbisogno calorico quotidiano. Di seguito riportiamo alcune ricette semplici da preparare, ma gustose, per gli anziani senza denti. POLENTA CON RAGÙ FRULLATO Cosa Mangia Un Anziano Senza Denti Ingredienti 25 g di Farina di mais 150 cc di Acqua 50 g di carne trita cruda, oppure 25 g di carne tritata già cotta 5 g di olio extravergine di oliva Salvia, rosmarino e cipolla q.b. Sugo pomodoro q.b. Sale q.b. Procedimento 
 Prepara la polenta seguendo la ricetta classica. Cosa Mangia Un Anziano Senza Denti Ingredienti 100 g di asparagi 100 g di formaggio cremoso 1 uovo 5 g di olio extravergine di oliva Succo di limone q.b. Sale q.b. Procedimento Lessa e frulla gli asparagi. Poi scalda la crema per qualche minuto in un tegame a fuoco basso. Ora rassoda le uova e schiacciale con una forchetta. Ingredienti 100 g di pollo crudo oppure 50 g di pollo cotto 100 g di carote 50 cc di brodo 10 g di olio Sale q.b. Procedimento Salta il pollo in padella con l’olio, il sale e le carote. Aggiungi un po’ alla volta il pollo tagliato a pezzetti e il brodo.

Cosa cucinare ad anziani senza denti?

Come preparare semplici e gustose ricette per anziani senza denti. – Le ricette morbide o frullate sono l’ideale per gli anziani senza denti o che hanno particolari difficoltà di masticazione, Servono soprattutto a prevenire e a correggere la malnutrizione o la disidratazione, ma anche a soddisfare i fabbisogni nutrizionali giornalieri degli anziani che faticano a mangiare i cibi solidi. –> Scopri perché gli anziani rifiutano il cibo. Le ricette per anziani senza denti sono composte per lo più di cibi naturali dalla consistenza morbida, come ad esempio lo stracchino, il pesce, le uova, la frutta molto matura e lo yogurt. Sono perfetti anche la purea di patate, i flan, i soufflè, i budini, le creme, le verdure morbide e la besciamella. Si adattano alla dieta dei pazienti con difficoltà di masticazione anche i frullati di verdure, prosciutto o carne. È importante tenere conto che ogni piatto deve fornire circa 15 g di proteine e 300 calorie in un volume di 200-250 ml. Preparando almeno due piatti semi-liquidi con dessert, a ogni pasto, si riesce a coprire circa il 70-80% del fabbisogno calorico quotidiano. Di seguito riportiamo alcune ricette semplici da preparare, ma gustose, per gli anziani senza denti. POLENTA CON RAGÙ FRULLATO Cosa Mangia Un Anziano Senza Denti Ingredienti 25 g di Farina di mais 150 cc di Acqua 50 g di carne trita cruda, oppure 25 g di carne tritata già cotta 5 g di olio extravergine di oliva Salvia, rosmarino e cipolla q.b. Sugo pomodoro q.b. Sale q.b. Procedimento 
 Prepara la polenta seguendo la ricetta classica. Cosa Mangia Un Anziano Senza Denti Ingredienti 100 g di asparagi 100 g di formaggio cremoso 1 uovo 5 g di olio extravergine di oliva Succo di limone q.b. Sale q.b. Procedimento Lessa e frulla gli asparagi. Poi scalda la crema per qualche minuto in un tegame a fuoco basso. Ora rassoda le uova e schiacciale con una forchetta. Ingredienti 100 g di pollo crudo oppure 50 g di pollo cotto 100 g di carote 50 cc di brodo 10 g di olio Sale q.b. Procedimento Salta il pollo in padella con l’olio, il sale e le carote. Aggiungi un po’ alla volta il pollo tagliato a pezzetti e il brodo.

Cosa vuol dire quando una persona anziana dorme sempre?

La sonnolenza diurna negli anziani può essere il primo sintomo della malattia di Alzheimer, ma può anche essere dovuta a depressione, problemi del sonno o assunzione di alcuni farmaci. La letargia è una sindrome caratterizzata da eccessiva stanchezza, sonnolenza e mancanza di energie.

Quando un anziano non vuole più mangiare per quanto tempo vive?

Decisioni riguardo alla fine della vita

  • Cure Palliative alla fine della vita
  • Una guida per chi si prende cura di persone con malattia di Alzheimer o altre patologie cerebrali degenerative
  • Questa guida è basata sui risultati di una ricerca (sponsorizzata dalla Alzheimer Society of Canada) sull’esperienza di chi assiste i malati di Alzheimer nella fase finale della vita.
  • Testi a cura di:
  • Marcel Arcand, MD (Direttore del Long-term Care Programme-Istituto di Geriatria, Università di Sherbrooke – Canada);

Chantal Caron, infermiera, Ph.D (Ricercatrice al Centro di Ricerca sull’Invecchiamento – Prof. associato al Dipartimento di Scienze Infermieristiche della facoltà di Medicina e Scienze sanitarie, Università di Sherbrooke – Canada)

  1. Edizione italiana a cura di: ACCD, AIMA e Fondazione Maestroni
  2. Traduzione di: Teodoro Spadin
  3. Revisione e adattamento testi di: Franco Toscani
  4. Progetto grafico e impaginazione di Fantigrafica
  5. Foto:
  6. pagg di ©Maurizio Buscarino,

pagg., di ©Antonio Auricchio

  • Si ringraziano:
  • Antonio Auricchio e Maurizio Buscarino che hanno collaborato e partecipato concedendo le foto.
  • Dante Tassi per la realizzazione fotografica

G.Maria Quaranta, NORMALIEN di Gianpiero Zappa – Montichiari (BS) e S.L.M. spa di Maurizio Zadra – Brescia, per i generosi contributi, elargiti alla Fondazione Maestroni, che hanno reso possibile questa pubblicazione.

  1. Fantigrafica di Palmiro Fanti – Cremona, per la generosa collaborazione professionale
  2. Daniele Villani – RSA Fondazione Sospiro, che ha messo a disposizione del progetto la sua sensibilità, competenza ed esperienza.
  3. Questa guida è destinata a chi assiste le fasi avanzate e terminali di un
  4. malato affetto da grave demenza, prodotta sia da malattia di Alzheimer,
  5. sia da altri tipi di malattie degenerative cerebrali (ad esempio dal
  6. morbo di Parkinson, o come effetto del danno prodotto da infarti multipli
  7. cerebrali o da alcune forme di sclerosi multipla).
  8. Ciò che accomuna tutte queste malattie è che chi ne è affetto va incontro
  9. ad una progressiva difficoltà nel parlare e nel comprendere la realtà,
  10. cioè di rendersi conto di quanto avviene intorno a lui. Questo gli
  11. rende difficile partecipare alle decisioni di ordine medico che lo riguardano.
  12. Di conseguenza, quando insorgono delle complicazioni o dei
  13. nuovi problemi di salute, qualcuno che gli è vicino – la moglie, il figlio
  14. o una persona cara – deve “prendere le sue parti” con l’equipe curante
  15. quando si deve decidere fino a che punto intervenire con cure specifiche.
  16. Questo è un compito difficile, per il quale voi, così come d’altra
  17. parte la maggior parte dei familiari di questo tipo di malati, potreste
  18. non essere preparati.
  19. Lo scopo di questa guida è darvi le informazioni essenziali per poter
  20. comprendere al meglio non tanto la malattia nel suo complesso, quanto
  21. i sintomi che essa produce e le decisioni da affrontare quando si arriva
  22. in uno stadio avanzato, con particolare riferimento ai momenti in cui la
  23. morte appare imminente o ormai inevitabile. Anche in questa fase, infatti,
  24. è comunque possibile attuare un insieme di cure che assicuri al
  25. vostro caro, nonostante tutto, una fine serena e senza sofferenza.
  26. Noi speriamo che queste informazioni vi possano essere utili e vi infondano
  27. un po’ di serenità durante questo difficile periodo.
  28. L’evoluzione naturale di questo tipo di malattie
  29. 1) Cosa succede a questi malati, avvicinandosi alla fine?
  30. Nelle fasi terminali della vita, due sono i problemi principali: la difficoltà ad alimentarsi e le ripetute infezioni.
  31. La principale causa di morte è la polmonite, che può avere numerose cause.

Nella maggioranza dei casi è dovuta ai problemi sempre più gravi che accompagnano l’assunzione di alimenti. Il malato spesso rischia di soffocare perché il cibo entra nella via sbagliata. In particolare, succede che saliva e cibo entrino nei polmoni invece che nello stomaco, causando accessi di tosse e difficoltà nel respiro.

Alcuni pazienti sono così debilitati da non essere neppure in grado di tossire efficacemente: questa situazione provoca inevitabilmente una insufficienza respiratoria. Molti pazienti vanno così incontro a quella che viene chiamata “polmonite ab ingestis “. Anche quando la polmonite risponde alle terapie e guarisce, è quasi inevitabile che si presenti di nuovo se il malato continua ad aver problemi di deglutizione.

Inoltre, proprio perché non riesce a deglutire, il paziente perde peso e diventa sempre più disidratato, in altre parole avrà un sempre minor volume di liquidi nel suo corpo. Come risultato, diventerà sempre più debilitato, aumentando così la probabilità di sviluppare ulteriori complicazioni come una nuova polmonite o infezioni delle vie urinarie.2) Cosa si può fare quando il malato non riesce più a mangiare o a bere? Medici ed infermieri, per prima cosa, cercheranno di identificare le cause della difficoltà ad alimentarsi e faranno ciò che è possibile per porvi rimedio.

In alcuni casi, infatti, il problema può essere risolto (per esempio quando si tratti di un’infezione della bocca o di effetti indesiderati di un farmaco). Tuttavia, nella fase terminale, alcune persone, di deglutire, si rifiutano proprio. Ciò può avvenire per diversi motivi: ad esempio, perché non hanno appetito, oppure perché il cibo, per loro, ha un sapore sgradevole.

Oppure possono aver paura di soffocare, o essere semplicemente incapaci di aprire la bocca, o, infine, perché hanno perso del tutto la capacità “fisica” di deglutire. Esistono diversi modi per far fronte a questo tipo di difficoltà. La strategia più frequentemente adottata è quella di preparare cibi di consistenza cremosa, del tipo “purée” (alimenti “passati” o frullati), e liquidi “addensati” (cioè trasformati in una specie di gelatina), che sono più facili da deglutire.

  • Per arricchire la dieta o semplicemente per saziare il paziente, si possono usare diversi tipi di integratori alimentari (tipo Meritene, Fortimel, Ensure, ecc.).
  • Questi integratori sono in genere graditi e possono sostituire una parte del pasto.
  • Tuttavia, quando la malattia avanza, questi rimedi risultano sempre meno efficaci.
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A questo punto il problema è se continuare a fornire cibi e liquidi al paziente per via orale, o se somministrarglieli per mezzo di una pompa elettromeccanica tramite un sondino inserito direttamente nello stomaco. Il sondino può essere introdotto attraverso il naso (sondino naso-gastrico) o attraverso la parete addominale (PEG) mediante una piccola incisione.

  • il processo d’inserimento nello stomaco di un sondino è piuttosto spiacevole e può provocare stress: il sondino naso–gastrico si può posizionare in RSA, mentre la PEG, solitamente, richiede un sia pur breve trasferimento in ospedale;
  • l’alimentazione per sondino con una pompa elettromeccanica può causare diarrea grave;
  • il sondino si ostruisce con facilità e deve essere sostituito con regolarità;
  • le persone in stato confusionale spesso tentano di sfilarsi il sondino;
  • con l’uso del sondino viene eliminato qualsiasi piacere nel gustare il cibo e il paziente perde anche quel momento di contatto sociale, durante i pasti, che avrebbe avuto con chi lo assiste;
  • e, soprattutto, non è mai stato dimostrato che l’uso del sondino sia in grado di prolungare la vita di un malato in una fase avanzata di demenza. Questo perché polmoniti ab ingestis si verificano comunque, anche in persone nutrite tramite sondino.

Per questi motivi non è consigliabile inserire sondini per introdurre alimenti, utilizzando o meno sistemi complessi come le pompe elettromeccaniche, in chi è in condizioni tali da non far realisticamente prevedere un qualche miglioramento; nè, tantomeno, in coloro che da queste procedure è probabile che possano ricavare più disturbi che giovamento.3) Cosa può fare l’équipe curante quando il paziente prende la polmonite? Quando una persona manifesta difficoltà di respiro dovuta all’ingresso di cibo o di saliva nell’apparato respiratorio, è necessario liberarle la parte posteriore della gola e le strutture dove passa l’aria.

Questa è una procedura non agevole e sempre piuttosto fastidiosa, da valutare caso per caso. Per migliorare il comfort del malato, in qualche caso potrebbe essere utile la somministrazione di ossigeno. Se compare febbre e, se il quadro clinico fa ritenere che si sia sviluppata una polmonite, è possibile che il medico prescriva un antibiotico.

Tuttavia, come si è già detto, quando si è in uno stadio avanzato, le probabilità di guarire da una polmonite sono scarse, mentre è molto probabile che questa si ripresenti nuovamente poco tempo dopo. Ogni situazione, comunque, deve essere attentamente valutata caso per caso.

Il medico e il familiare (e se c’è un rappresentante legale del paziente, quale un tutore o un amministratore di sostegno, il suo coinvolgimento è obbligatorio per legge) devono a questo punto decidere se usare un approccio curativo o palliativo, cercando di scegliere l’opzione migliore per il paziente.4) Un ammalato, in queste condizioni, deve essere ricoverato in ospedale? Trasferire una persona in stadio avanzato di malattia è spesso causa di grande stress.

I malati in stato di agitazione, aggravato o scatenato dall’essere posti in un ambiente non adatto alla loro condizione (ad esempio, in una stanza del Pronto Soccorso), in genere vengono sedati con tranquillanti e magari anche legati al letto per limitarne i movimenti.

In queste condizioni, un malato affetto da demenza solitamente rifiuta il cibo e per lo più finisce per tornare nella RSA con piaghe da decubito e contratture muscolari dovute proprio al fatto che l’ospedale, per sua natura, non è in grado di rispondere adeguatamente ai suoi bisogni. Per questi motivi il trasferimento in un reparto ospedaliero dovrebbe essere fatto solo in casi di assoluta necessità e durare il minor tempo possibile.

In alcuni casi, tuttavia, un breve periodo di ospedalizzazione può essere indispensabile, ad esempio quando c’è bisogno di un intervento chirurgico per stabilizzare una frattura che altrimenti causerebbe un forte dolore.

  • Ciò nonostante, di regola è meglio non mandare in ospedale il paziente se il problema può essere risolto in RSA con un approccio di cura di tipo palliativo e con un buon controllo dei sintomi.
  • 5) I medici devono sempre praticare la rianimazione cardio-polmonare (le manovre che servono a far ripartire il battito in un paziente in arresto cardiaco)?
  • Il motivo per cui ci si pone questa domanda è che la maggior parte delle RSA non è attrezzata per eseguire la rianimazione cardiopolmonare (CPR).
  • Tuttavia, per capire i termini del problema, immaginiamo che il paziente sia invece ricoverato in un luogo dove le apparecchiature necessarie per la CPR ci siano.
  • Ma la CPR sarebbe appropriata in tali circostanze?
  • La maggioranza dei medici concorda nel sostenere che questo genere di manovre, a questo tipo di malati, facciano più male che bene.

Innanzitutto, la possibilità di rianimare una persona in condizioni generali tanto compromesse è estremamente limitata. Inoltre, il rischio di causare danni al paziente è molto elevato (ad esempio, è quasi inevitabile provocare fratture alla gabbia toracica).

Infine, più tempo il malato rimane in arresto cardiaco, più cresce la probabilità che dopo essere rianimato resti in coma per il resto dei suoi giorni. Questi sono solo alcuni dei tanti motivi per i quali non è consigliabile la CPR in malati con patologie degenerative cerebrali in stadio avanzato.1) Chi prende le decisioni mediche alla fine della vita? Il medico o chi rappresenta il malato (il famigliare, tutore/amministratore di sostegno)? E’ facile che, ad un certo punto, i curanti si trovino, se non esiste più la possibilità di un trattamento diretto della patologia (trattamento curativo), a scegliere di spostare l’ attenzione terapeutica alla cura della sintomatologia e a fare in modo che la fine inevitabile del paziente giunga senza eccessive sofferenze (cure palliative).

È quindi assolutamente necessario che medici e famigliari trovino il tempo per parlare apertamente di questo problema. La domanda che ci si deve porre è la seguente: “Qual è la cosa migliore da fare per questa persona, in questo momento?”. La situazione ideale è che, su cosa vada fatto, siano tutti d’accordo.

Il peso di una decisione così difficile non deve essere caricato sulle spalle della sola famiglia. La cosa migliore sarebbe che tra equipe curante e famigliari si fosse instaurata una buona e solida relazione da ben prima che il malato giungesse allo stadio terminale. I famigliari in genere si sentono tanto più tranquilli quanto meglio sono stati informati e quanto più il loro punto di vista è stato accolto in precedenti occasioni.2) Qual è il ruolo del famigliare o del rappresentante legale (tutore/amministratore di sostegno) del paziente nel processo decisionale? La legge italiana stabilisce che le decisioni mediche relative allo stato di salute di un cittadino possano essere prese solo da lui medesimo.

Nel caso questi non sia in grado di farlo, queste decisioni toccano al rappresentante legale (tutore nominato dal giudice, o amministratore di sostegno), che è chiamato, in pratica, ad accettare o rifiutare i consigli del medico, in base a ciò che crede sia meglio per il paziente stesso.

  1. Il suo consenso deve essere informato e fornito volontariamente e senza costrizioni: chi rappresenta il paziente deve essere a conoscenza delle diverse possibilità di trattamento e non deve avere la sensazione che le scelte gli vengano imposte.
  2. In mancanza di rappresentanti legali, di fatto, tali decisioni competono al medico.

Il famigliare non ha alcun ruolo giuridico per accettare o rifiutare una proposta medica, a meno che, appunto, non sia stato nominato tutore o amministratore di sostegno. Tuttavia i famigliari giocano comunque una parte importante, dal momento che essi possono orientare, criticare o confermare le proposte del medico, proprio perché, in genere, essi conoscono il malato più a fondo e da più tempo di chi l’ha assunto in cura.

  1. Non dovete mai esitare a comunicare al medico i vostri dubbi e problemi.
  2. Quando incertezze e domande restano inespresse, i famigliari sono sottoposti a uno stress inutile ed evitabile.
  3. 3) Cosa fare in caso di conflitto o di dubbio?
  4. I famigliari a volte rifiutano quanto propone il medico, o non sono d’accordo tra loro nel decidere il da farsi.
  5. Il medico non ha il potere di imporre la sua soluzione alla famiglia, e, del pari, anche la decisione del famigliare o del rappresentante legale può essere contestata dai curanti se non corrisponde a ciò che loro pensano sia il miglior interesse del malato.

Cosa si può fare, allora, in questi casi? Talvolta è necessario arrivare ad un compromesso.

  • Ad esempio, si può accettare di provare per un tempo determinato un certo trattamento e poi valutarne gli effetti prima di decidere se continuare o meno.
  • Si può anche interpellare un altro medico, o un comitato etico – che è un organismo composto non solo da sanitari ma anche da esperti di etica, da giuristi e da rappresentanti dei cittadini.
  • 4) Se si è deciso di non ricorrere a certi trattamenti, significa che il paziente verrà abbandonato?
  • Nel passato, durante la fase terminale della malattia, i medici erano soliti dire alla famiglia: “non c’è più nulla da fare”.
  • I familiari spesso considerano questa affermazione come un vero e proprio abbandono, e, per buona che sia l’assistenza infermieristica e l’accudimento, credono che, dal quel momento alla fine della sua vita, il malato sia condannato a dolore e difficoltà.
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Questo modo di pensare non ha più ragione di esistere. Facendo tesoro dell’esperienza delle équipes di cure palliative che si occupano dei malati di cancro, anche chi assiste i malati con grave demenza può giocare un ruolo determinante nel provvedere il massimo comfort fisico e psicologico a chi è prossimo alla morte ed ai suoi famigliari.

Come vedremo in seguito, oggi disponiamo di diversi modi per rendere questo possibile.5) In queste circostanze, le autorità religiose sono d’accordo con la decisione di non sospendere o non iniziare trattamenti per prolungare la vita? Per quanto ci risulta, tutte le autorità religiose alle quali sono state poste queste domande, considerano moralmente lecito astenersi da terapie che prolungano la durata della vita di un paziente terminale quando le speranze di migliorarne la qualità siano poche o nulle.

Se però dovessero sorgere dubbi in proposito, è bene che i famigliari affrontino per tempo questo argomento con un ministro del proprio culto. Nella maggior parte delle RSA e degli ospedali operano sacerdoti, pastori o religiosi di altre fedi che conoscono bene i problemi del malato e le preoccupazioni di chi lo assiste e sono disponibili per discutere di queste cose con i famigliari.6) L’eutanasia è un’opzione accettabile? Nella maggior parte dei Paesi, Italia compresa, si ritiene che una eventuale legge che rendesse lecita l’eutanasia finirebbe per produrre più danni che benefici, ragion per cui essa è assolutamente proibita anche nei momenti finali di una fase terminale di malattia.

  1. Così, anche nelle fasi avanzate della demenza, è bene che medici e famigliari decidano insieme il livello di intensità delle cure in atto o che possono essere iniziate, valutando caso per caso rischi e benefici e il miglior interesse della persona malata.
  2. Il controllo dei sintomi
  3. 1) Quali sono i sintomi più frequenti alla fine della vita?

I più frequenti sintomi alla fine della vita sono la dispnea (difficoltà di respiro) e il dolore. Altri sintomi spesso presenti sono l’agitazione, l’ansia, il vomito.2) Come è possibile rimediare ai problemi respiratori? I disturbi del respiro possono avere molte cause: infezioni dei polmoni, problemi di cuore, aspirazione del cibo nei polmoni e così via.

Il trattamento dipende dalla causa. Nelle fasi avanzate di malattia di solito, per ridurre la difficoltà provata dal paziente nel respirare, si usa la morfina. Alcuni medicinali, che possono essere inalati attraverso una pompa, un inalatore o una maschera, sono in grado di ridurre lo spasmo dei bronchi, un disturbo simile a un attacco d’asma.

Se si è in presenza di insufficienza cardiaca, o per ridurre un eccesso d’acqua nei polmoni, talvolta si devono usare anche i diuretici, cioè i farmaci che aumentano la produzione di urina.3) Ad un paziente che ha una infezione, gli antibiotici vanno sempre somministrati? In caso di polmonite, se ci sono febbre alta e secrezioni purulente, può essere necessario prescrivere degli antibiotici.

Il vero problema, però, è se la cosa giusta da fare sia cercare di combatterla, la polmonite, o scegliere le cure che possono eliminare o ridurre i disturbi e le sofferenze che accompagnano gli ultimi giorni di vita. Bisogna capire, affrontando questo problema con la famiglia, quale fossero stati i desideri del malato, per poter decidere quale possa essere la più opportuna strategia di cura.

In caso di dubbio, o quando il parente più stretto non è reperibile, alcuni dottori possono anche decidere di iniziare un certo trattamento, per poi eventualmente sospenderlo se esso non si rivela efficace o se poi risultasse non essere la soluzione che il malato avrebbe desiderato.

D’altra parte, è possibile che alcune infezioni siano esse stesse causa diretta di dolore o malessere (come ad esempio, le infezioni della vescica), ed in questo caso una terapia antibiotica diventa il modo migliore per dare al paziente un rapido sollievo.4) Come si possono controllare le secrezioni quando rendono difficile e rumoroso il respiro? Quando c’è una grande quantità di secrezioni nella parte posteriore della gola, il malato viene sistemato nel letto in una più corretta posizione in modo che queste non gli ostacolino il respiro, e gli vengono somministrati farmaci che ne riducono la ulteriore produzione.

In genere, all’inizio i farmaci sono efficaci: tuttavia, col tempo, le secrezioni diventano troppo abbondanti e dense, e il paziente continua ad avere una respirazione rumorosa (rantolo). Per chi sta vicino, questo tipo di respiro può dare l’impressione che il malato ne venga affaticato, addirittura spossato; invece, se il paziente è in coma o se gli vengono somministrati abbastanza farmaci da renderlo tranquillo e senza sofferenze, è difficile che egli si accorga di come sta respirando.

Può essere alle volte necessario usare un aspiratore per rimuovere le secrezioni dalla bocca, se sono in grande quantità. Però, questa procedura può essere poco gradevole e, pertanto, viene svolta solo quando è strettamente necessaria.5) È utile dare l’ossigeno? Se il paziente fa fatica a respirare, l’ossigeno può contribuire a ridurre certi dolori muscolari e alcuni problemi respiratori.

Tuttavia, quando la fine della vita è vicina o il paziente è in coma, è saggio sospenderlo per non rischiare di prolungare l’agonia con l’uso della tecnologia.6) Quali sono i segni di dolore in una persona che non è più capace di esprimersi? È spesso difficile capire se un malato incapace di esprimersi ha dolore e quanto ne abbia.

  • Non esitate ad avvisare il personale se vi sembra che gli antidolorifici somministrati al paziente non siano sufficienti.
  • 7) Come può essere alleviato il dolore?
  • Il dolore può avere molte cause, per cui è importante individuare quella giusta.
  • Soprattutto bisogna che il paziente sia posizionato nel modo corretto e confortevole, in un letto adatto e comodo.

Esistono molti farmaci che agiscono su diversi tipi di dolore, che talora devono essere somministrati in diverse combinazioni tra loro per essere veramente efficaci. Gli oppioidi, come la morfina, sono sicuramente i farmaci più adatti ad alleviare il dolore di intensità da moderata a forte.

  • In questa fase della malattia, per controllare validamente il dolore bisogna somministrarli con regolarità (ad esempio, ogni quattro ore).
  • Talvolta i medici prescrivono in cartella delle dosi supplementari, da usare se necessario tra una dose prefissata ed un’altra, in modo che in caso di ricomparsa di dolore il paziente non venga lasciato magari per ore a patire prima che venga di nuovo cambiata la terapia.

Poiché però col tempo l’organismo si abitua ad una certa dose di morfina, questa, di tanto in tanto, deve essere aumentata (sempre sotto controllo medico) perché continui ad essere efficace.

  1. 8) La morfina può uccidere il paziente?
  2. Molti pensano, sbagliando, che sia l’ultima dose di morfina a far smettere di respirare, soprattutto se questa è più forte delle precedenti.
  3. I pazienti, in realtà, possono tollerare dosi molto alte, a patto che l’aumento avvenga gradualmente.

In teoria, è anche possibile che dosi molto forti possano accelerare la morte. Ma se anche così fosse, quando e se l’obiettivo di un intervento medico è dare sollievo al dolore e non far cessare la vita, è moralmente accettabile somministrare quanto è necessario.

  • Non rispondere alle esigenze del paziente e lasciarlo soffrire, questo sì, sarebbe invece immorale.
  • 9) Come possono essere calmate l’ansia e l’agitazione?
  • Non è sempre facile distinguere il dolore da uno stato di ansia in un paziente agitato o incapace di star fermo.

Per questo i palliativisti preferiscono somministrare, assieme alla morfina, dei farmaci che agiscono contro ansia e allucinazioni. Anche questi farmaci, efficacissimi nel rendere confortevoli gli ultimi giorni di vita, sono di solito usati a orari regolari.10) È necessario somministrare altri farmaci, o misurare la pressione, la temperatura, la glicemia, ecc.? I medici devono prendere decisioni anche su altri tipi di interventi e terapie.

  • Verso la fine della vita, ad esempio, quando deglutire diventa davvero difficile, è spesso preferibile – e perfino necessario – smettere di far prendere i medicinali per bocca.
  • Quei farmaci che continuano ad essere davvero indispensabili allora devono essere somministrati per altre vie, per iniezione o in forma di supposta.

Per ridurre il fastidio provocato da ripetute punture, queste possono essere fatte attraverso un sottile catetere introdotto sotto la pelle, che non produce disturbo alcuno e che può essere lasciato per molto tempo senza dover essere sostituito. Misurare la temperatura o la pressione, o misurare il livello dello zucchero nel sangue, invece, diventa sempre meno importante, mano a mano che ci si avvicina alla fine, soprattutto quando queste procedure debbano essere eseguite su chi stia dormendo pacificamente.

Invece le cure infermieristiche finalizzate all’igiene e alla cura della pelle (indispensabili per prevenire le ulcere) devono essere continuate fino all’ultimo, perché contribuiscono al comfort e alla dignità della persona che sta morendo.11) Come si sente il paziente quando non mangia né beve più? I malati di cancro e coloro che, pur essendo affetti da malattie degenerative neurologiche, riescono a conservarsi lucidi fino alla fine, ci dicono che sete e fame sono tutto sommato irrilevanti.

La maggior parte dei pazienti rifiuta tutto, anche piccole quantità di cibo. Ciò che li disturba maggiormente è una sensazione di bocca asciutta. Perciò gli esperti di cure palliative hanno sviluppato prodotti capaci di trattare efficacemente la secchezza di bocca, labbra e gola.

Nel piano di assistenza infermieristica il trattamento di questo particolare sintomo è assolutamente prioritario. D’altra parte, una riduzione della quantità globale di liquidi presenti nell’organismo (disidratazione) non è di per sé dolorosa. Il sangue diventa più concentrato e i reni funzionano sempre meno e, infine, smettono di farlo.

Tutti questi cambiamenti però, in genere non aumentano i disturbi del paziente perché diminuisce, nel contempo, anche la percezione del dolore, e spesso finiscono persino per essergli di aiuto: ad esempio, riducendosi la quantità di liquidi del corpo si riducono anche le secrezioni, rendendo più facile la respirazione.

  1. 12) Dovrebbe essere iniziata una terapia endovenosa?
  2. Alcuni famigliari pensano che il paziente, con le flebo, starebbe meglio.
  3. La nostra esperienza ci conferma invece l’opposto: nelle fasi terminali i liquidi per endovena finiscono semplicemente per aumentare la quantità di secrezioni nelle vie respiratorie, ritardando così l’assopimento finale e prolungando la durata delle sofferenze.
  4. 13) Cosa fare se la persona ha già un sondino per nutrizione artificiale?
  5. Anche se questo concetto può essere difficile da comprendere, gli esperti di etica considerano la decisione di smettere di nutrire il paziente attraverso un sondino moralmente equivalente a quella di non inserirlo affatto.
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Quindi, dopo aver affrontato il problema con un membro della famiglia o con l’eventuale rappresentante legale (tutore o amministratore di sostegno), se la malattia è ormai prossima alla fase terminale o se le complicazioni della nutrizione (vomito, inalazione di rigurgito alimentare, lesioni da decubito, intolleranza del paziente al sondino) diventano sempre più frequenti, è possibile sospendere l’alimentazione artificiale, se ciò risulta essere nell’interesse del paziente.

  1. Non è indispensabile che il sondino sia rimosso, poiché questa procedura è spesso fastidiosa.
  2. Anche se tutto ciò può sembrare disumano, come fanno notare gli esperti di etica, perché mai la gente dovrebbe soffrire più a lungo oggi di quanto avrebbe sofferto prima dell’avvento delle attuali tecnologie? 14) Quanto vivrà ancora una persona che non beve e mangia più? Quando un malato smette di mangiare e di bere, normalmente vive ancora alcuni giorni.

Tuttavia, chi è in condizioni fisiche migliori, o chi ingerisce un po’ di liquidi durante la cura del cavo orale, potrebbe vivere ancora per alcune settimane. Ogni caso è diverso da un altro, e può essere difficile per i curanti prevedere con esattezza quanto tempo resta prima del decesso.

Cosa fare da mangiare a un anziano inappetente?

Inappetenza nell’anziano: lo stimolo della fame nella terza età Spesso le persone anziane si trovano ad affrontare periodi, anche di lunga durata, in cui hanno poco appetito e quindi riducono il proprio apporto di energia. Questo può portare a cali di peso anche importanti e potenzialmente pericolosi,che devono essere evitati grazie ad un’alimentazione corretta.

Le cause di inappetenza nell’anziano possono essere di diverso tipo. Innanzitutto, in alcuni casi ci possono essere problematiche psicologiche, come l’umore depresso o lo scarso interesse per il cibo, dovuto in alcuni casi al fatto di dover mangiare da soli o comunque preparare il pasto per una persona sola.

Ci possono essere anche problematiche sociali, come la difficoltà a fare la spesa e a cucinare, senza dimenticare i problemi di salute, come i disturbi dei denti, della masticazione, della deglutizione e della digestione. Tutti questi fattori possono portare ad un’alimentazione scarsa e soprattutto monotona, dove non viene garantito il corretto apporto di nutrienti.

  1. In genere, viene ridotto il consumo di verdura e di carne e pesce, perché possono risultare difficili da masticare, elaborati da preparare e conservare.
  2. Al contrario, in genere la dieta si basa soprattutto su pasta o riso in brodo, patate e formaggi freschi, riducendo l’apporto di fibra, di proteine ed aumentando l’introito di grassi saturi.

Vediamo insieme alcuni consigli per rendere varia e completa la dieta dell’anziano, per soddisfare i fabbisogni energetici e proteici utilizzando cibi morbidi, facili da masticare e deglutire, ma anche da preparare. Colazione: latte o yogurt con pane, fette biscottate o biscotti secchi inzuppati.

Primi piatti: preferire semolino, gnocchi di patate, crema di riso. Per contrastare il calo di peso, andrebbero conditi con una discreta dose di olio d’oliva e formaggio grattugiato. Al posto del pane si può utilizzare la patata lessa o in purè. Secondi piatti: per soddisfare il fabbisogno proteico, ad ogni pasto andrebbe consumato anche il secondo piatto.

Preferire carne morbida e tritata (come polpette o hamburger) e filetti di pesce morbidi (anche surgelato); una volta alla settimana, un paio di uova strapazzate o in padella o in frittata; formaggi e salumi preferibilmente non più di due volte alla settimana ciascuno.

Verdure: andrebbero consumate ad ogni pasto per garantire l’apporto di fibra, sali minerali e vitamine. Preferire le verdure lessate, anche in minestrone. Può essere utilizzato anche il minestrone surgelato, da consumare preferibilmente passato. Per aumentare il fabbisogno proteico preferire un minestrone coi legumi.

Frutta: due-tre frutti al giorno, preferibilmente cotti o sotto forma di mousse o frullati. Condimenti: preferire olio d’oliva da aggiungere a crudo alle pietanze. Per aumentare il fabbisogno proteico, aggiungere anche formaggio grattugiato. Se questi accorgimenti non dovessero bastare, esistono in commercio polveri energetiche ed iperproteiche che possono essere aggiunte al latte o al minestrone.

Quanta acqua deve bere una persona anziana?

Vecchiaia e disidratazione vanno di pari passo Il nostro corpo è costituito per circa il 60% di acqua, una quantità che con il passare degli anni tende a ridursi fino ad arrivare al 40-45% del peso corporeo durante la vecchiaia. È per questo motivo che l a pelle assume un colorito più spento, è solcata da rughe profonde perché i tessuti perdono elasticità, e anche le articolazioni, meno lubrificate, cominciano a farsi sentire e a dare problemi.

Tutto deriva dal normale processo di invecchiamento che, inesorabilmente, coincide anche con una progressiva perdita di acqua dell’organismo. Proprio durante la terza età, quindi, diventa fondamentale integrare l’alimentazione con cibi ricchi di acqua, come frutta e verdura, e aumentare il consumo di acqua.

Avere sete non basta Se a qualunque età è fondamentale mantenere in equilibrio il bilancio idrico (tanta acqua esce dall’organismo e tanta ne va reintegrata), ancor più importante lo diventa con il passare degli anni. Con la vecchiaia, uno dei problemi di cui bisogna tenere conto è che diminuisce lo stimolo della sete : in pratica, le persone anziane sentono meno la necessità di bere.

  • Questa ridotta percezione può creare problemi in un organismo che già di per sé è fisiologicamente disidratato, perciò i medici consigliano agli anziani di bere ogni giorno oltre 2 litri di acqua, indipendentemente dalla sete che avvertono.
  • La disidratazione in vecchiaia è effettivamente un problema talvolta sottovalutato e che può derivare non soltanto dalla ridotta sensazione di sete, ma anche da mancanza di autosufficienza, da patologie renali, da uso di lassativi o altri farmaci, e da altri fattori che fanno sì che il consumo di una sufficiente quantità di acqua diventi ancora più necessario.

Evitare la disidratazione Se l’anziano è autosufficiente e vive da solo ma non sente la necessità di bere, come fare per ovviare al problema? Il primo passo è renderlo consapevole parlandone e successivamente, con l’aiuto del medico, stilare una tabella giornaliera degli obiettivi da raggiungere,

Spiegare che l’assunzione di acqua deve avvenire regolarmente durante l’arco di tutta la giornata: meglio quindi piccole dosi distribuite in più momenti diversi piuttosto che mezzo litro bevuto tutto insieme. Sarà poi sufficiente mettere al corrente l’anziano e i suoi familiari che mantenere la giusta idratazione è il primo passo per evitare di incorrere in problemi di altro tipo.

Infatti, Infatti, la disidratazione prolungata può facilitare l’insorgenza di infezioni alle vie urinarie, calcoli renali, stitichezza, ma anche ipertensione, diabete e patologie cardiache. Più acqua per tutti Bere regolarmente la giusta quantità di acqua inoltre non solo migliora tutte le funzioni metaboliche dell’organismo, non solo lo depura da tutte le scorie che oltretutto in vecchiaia sono più difficili da smaltire, ma rende anche più attivi, più lucidi e reattivi.

Quanto deve mangiare un anziano allettato?

Proteine e piaghe da decubito – Cosa Mangia Un Anziano Senza Denti Le piaghe da decubito sono una delle possibili complicazioni derivanti dall’immobilità. Passare molto tempo a letto o su una poltrona nella stessa posizione, può causare l’insorgenza di ulcere della pelle dovuto ad un scarso apporto di ossigeno e sangue nell’area interessata.

Secondo diversi studi effettuati su pazienti con lesioni croniche o piaghe in fase acuta, l’assunzione di una maggior quantità di proteine permette di facilitare la guarigione e accorciare i tempi di convalescenza. Generalmente per un soggetto in buona salute la dose raccomandata di proteine è di 0,8 g di proteine per ogni kg di peso.

Nei soggetti allettati la dose può aumentare fino ad 1 grammo per kg di peso corporeo. Attenzione però ai soggetti con patologie renali o problemi al fegato, in quanto potrebbero avere difficoltà a smaltire le proteine e causare un affaticamento degli organi.

Aggiungere carne a dadini o macinata nella zuppa di verdure Addensare ad esempio il purè con le uova; Non proporre la classica fettina di carne ma una lavorazione della stessa, senza allontanarsi troppo dai piatti tradizionali che sono abituati a mangiare; Suggerire a colazione latte supplementato, con aggiunta di proteine.

Vanno limitati gli alimenti ricchi di grassi, in particolare grassi saturi, e quelli che contengono zuccheri. I formaggi possono essere consumati purché a ridotto contenuti di colesterolo, come ad esempio il Parmigiano Reggiano o il Grana Padano e la ricotta fresca.

Cosa si può mangiare con l acalasia?

Dare spazio a frutta e verdura cruda – Si dice che il cibo crudo sia più digeribile perché attraverso la cottura si distruggono gli enzimi digestivi in esso contenuti, d’altronde ci sono alcuni alimenti che non si possono mangiare crudi. Sarebbe consigliabile diminuire la quantità di cibi cotti per lasciare spazio agli alimenti crudi o cuocere al vapore per non disperdere nell’acqua le proprietà benefiche di certi cibi. L’ideale, per una sana alimentazione, sarebbe prepararsi un frullato di frutta o verdura ogni mattina ed una insalatona ogni pomeriggio, frutta fresca di stagione da mangiare come spuntino. Iniziando la giornata con un estratto di frutta o di verdura possiamo solo far del bene al nostro corpo.