Perché I Dinosauri Hanno 500 Denti?
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Perché i dinosauro ha 500 denti? Un simile arsenale di incisivi funzionava, secondo gli scienziati, come una potente falciatrice che mieteva e inglobava qualunque tipo di piante gli capitasse a tiro: da qui il soprannome di ‘mucca del Mesozoico’ Quanto era alto l Iguanodonte?
Quale dinosauro ha 5000 denti?
Nigersaurus taqueti
Come leggere il tassobox Nigersaurus | |
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Regno | Animalia |
Phylum | Chordata |
Superordine | Dinosauria |
Ordine | Saurischia |
Come si chiama il dinosauro con 500 denti?
Il dinosauro con 500 zanne: era come una mucca Un insolito dinosauro, con una bocca enorme, soprannominato dagli scienziati “la mucca del Mesozoico”, fu in passato molto più diffuso di altri grandi rettili preistorici più noti. Alcuni ricercatori dell’Università di Chicago hanno analizzato ai raggi X i resti di un nigersaurus taqueti rinvenuti nel deserto del Sahara nel 1997 e ne hanno elaborato una ricostruzione computerizzata.
Il nigersaurus in questione è lungo 9 metri: non molto, per un dinosauro. Ma i centimetri che gli mancano in lunghezza, li recupera in. dentatura: la sua mandibola, squadrata e lunga più di mezzo metro, è dotata infatti di oltre 50 colonne di denti, per un totale di circa 500 piccole zanne ( foto ).
Un simile arsenale di incisivi funzionava, secondo gli scienziati, come una potente falciatrice che mieteva e inglobava qualunque tipo di piante gli capitasse a tiro: da qui il soprannome di “mucca del Mesozoico”. Lo scheletro del dinosauro, contenente più aria che materia ossea, sembra invece estremamente fragile: il nigersaurus riusciva a fatica a sorreggere il peso di collo e dentatura.
Qual è il dinosauro più buono?
Apatosaurus
Come leggere il tassobox Apatosaurus | |
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Dominio | Eukaryota |
Regno | Animalia |
Phylum | Chordata |
Classe | Sauropsida |
Qual è il dinosauro più intelligente del mondo?
Il Troodon (o Troodonte), era un piccolo ma agile predatore Celurosauro (Coelurosauria), vissuto in Nord America verso la fine dell’era dei Dinosauri, circa 77-74 milioni di anni fa. Scoperto nel 1855, è stato tra i primi Dinosauri ritrovati in Nord America, sebbene fosse ritenuto una specie di Lucertola fino al 1877. Simile ad un Velociraptor, era circa 2 metri di lunghezza, ed alto tra gli 1.50 e 1.60 circa. Era bipede e, oltre a un grosso cervello, una capacità visiva frontale e le “mani” a tre artigli “a falce” tipiche di un Raptor, che gli garantivano una certa abilità nella manipolazione di prede o oggetti, non è da escludere l’ipotesi che fosse anche un animale a sangue caldo. Secondo altre ipotesi, i meccanismi di riproduzione di questo piccolo predatore erano simili a quelle dei moderni Coccodrilli e degli Uccelli, deponevano uova in modo regolare a distanza l’una dall’altra, per poi proteggerle con il calore del proprio corpo una volta deposte in nidi, o altri ripari così da non lasciarle esposte anche ad eventuali pericoli. Nonostante la taglia ridotta ma con un cervello di dimensione notevole (e più voluminoso di quello presente in molti altri rettili oggi esistenti), il Troodon era quasi sicuramente un Dinosauro tra i più intelligenti, di classe nettamente superiore. Edited July 22, 2019 by Philip K. Dick
Quanti denti aveva un T. rex?
Descrizione: La testa misurava fino a 1 metro e mezzo. La bocca aveva oltre 50 denti (per la precisione, 30 denti nell’arcata superiore e 28 in quella inferiore). I denti, la cui lunghezza variava dai 10 ai 30 cm, erano taglienti, aguzzi e ricurvi all’indietro per trattenere meglio le prede.
Chi uccise i dinosauri?
Ipotesi sull’estinzione – La causa dell’estinzione di fine Cretacico sarebbe da ricondursi all’impatto di un asteroide nel Golfo del Messico 66 milioni di anni fa e dai conseguenti cambiamenti ambientali di quell’evento, come recentemente dimostrato in maniera quantitativa da studi come quelli di Hull et al.
Quanto era la vita media di un dinosauro?
Il censimento dei T. rex – La ricerca degli ultimi 20 anni ha prodotto una quantità straordinaria di informazioni sui T. rex : quanti anni vivevano in media (circa 28 anni), quando raggiungevano la maturità sessuale (a circa 15,5 anni) e quanto pesava un esemplare adulto (di media circa 6,8 tonnellate).
- Questi dati hanno permesso agli scienziati di calcolare in modo approssimativo la durata di una generazione del T.
- Rex – più o meno 19 anni – e la massa corporea media di questa specie di dinosauro.
- Per calcolare i numeri della popolazione di T.
- Rex, i ricercatori si sono avvalsi della relazione tra la massa corporea e la densità di popolazione tra gli animali viventi.
In media, all’aumentare della massa corporea di un fattore 10, la densità della popolazione decresce di oltre quattro quinti: un modello conosciuto come legge di Damuth. Damuth, ecologo presso l’Università della California a Santa Barbara, è stato il primo a formulare questo modello elaborando 30 anni di dati ecologici su mammiferi viventi.
- La legge di Damuth tuttavia non fornisce esiti precisi e certi dato che lo stile di vita e gli habitat delle diverse specie animali variano molto.
- Ad esempio, la iena maculata e il giaguaro hanno una massa corporea simile e sono entrambi predatori ma la densità di popolazione delle iene è circa 50 volte superiore.
Se applicata al T. rex (a parte il fatto che il T. rex non è un mammifero), la legge di Damuth suggerisce un numero totale di questi dinosauri probabilmente compreso tra i 140 milioni e i 42 miliardi di esemplari. “È molto difficile formulare delle stime in paleontologiaquindi invece di cercare di calcolare, mi sono dedicato a cercare di individuare dei valori limite entro i quali racchiudere i numeri più probabili.
Quando torneranno i dinosauri?
Forse in preda ad allucinazioni post Brexit, alcuni esperti di ingegneria genetica dell’istituto britannico Adam Smith (ASI), hanno preannunciato una realtà sorprendente: nel 2050 i dinosauri potrebbero far ritorno sulla Terra e vivere con gli esseri umani in un Jurassic Park da urlo.
- Avremo un Dino dei Flintstones che gira per casa? Mah – Dopo aver scoperto che il DNA dei dinosauri è simile a quello degli uccelli, gli scienziati hanno fatto ulteriori progressi e sarebbero ora pronti a riportare in vita gli animali estinti,
- Ebbene sì.
- Non si tratta di immaginazione ma di una notizia reale annunciata poco tempo fa dal noto quotidiano britannico Daily Express.
Stando a quanto dichiarato dal Madsen Pirie, il ritorno dei dinosauri sulla terra non è più fantascienza, ma un fatto avverabile se la scienza vorrà spingersi in un viaggio a tappe verso i grandi rettili. La domanda è: ma perché? Per accontentare millennial settantenni con nipotini esaltati? No, dai.
Quando è finita l’era dei dinosauri?
Il fatto, dimostrato in modo inequivocabile dai dati paleontologici, è che intorno a 66 milioni di anni fa i dinosauri non aviani (gli uccelli sono, in effetti, gli ultimi dinosauri sulla faccia della Terra) scomparvero in maniera repentina da ogni ambiente.
La domanda è: perché? Oggi è diffusamente accettata, nel mondo scientifico, l’ipotesi secondo cui a causare l’estinzione che segna la fine del Cretaceo e l’inizio del Paleogene (limite K/Pg) sia stato l’impatto sulla superficie terrestre di un enorme asteroide (dal diametro di 10-12 km), che nell’arco di pochi minuti avrebbe sconvolto la storia della vita sulla Terra dando inizio a un lunghissimo ” inverno da impatto ” che, in poco tempo, avrebbe causato un tale abbassamento delle temperature terrestri da causare una estinzione di massa – la quinta delle cosiddette Big Five,
Ma, quando l’ipotesi venne avanzata per la prima volta da un gruppo di ricerca guidato da Luis e Walter Alvarez, padre fisico e figlio geologo, la comunità scientifica si oppose saldamente. Una simile teoria metteva in dubbio, infatti, alcuni principi cardine della geologia e delle scienze della vita: l’uniformitarismo e il gradualismo, universalmente riconosciuti come validi fin dai tempi di Charles Lyell, mentore di Darwin e loro teorizzatore; al tempo stesso, sembrava dare nuova linfa – fatto ancora più grave – alla vecchia teoria del catastrofismo di George Cuvier, che sembrava ormai definitivamente caduta sotto i colpi della teoria dell’evoluzione.
Dal 1980 – anno in cui l’articolo degli Alvarez apparve per la prima volta su Science – ad oggi, la ricerca scientifica ha corroborato questa ipotesi così inizialmente vilipesa, confermandola attraverso numerose prove indipendenti (ad esempio gli alti tassi di iridio, minerale “stellare” normalmente segregato nel nucleo terrestre, rinvenuti nei sedimenti risalenti al limite K/Pg in ogni parte del globo, o l’identificazione del cratere dell’impatto – nel paesino costiero di Chicxulub, penisola dello Yucatán, Messico).
Tuttavia sono stati proposti, in anni recenti, anche modelli causali alternativi per spiegare l’estinzione della fine del Mesozoico, teorie che cercano di salvaguardare la prospettiva gradualista. Tra queste ve n’è una, in particolare, che pone l’accento su una curiosa coincidenza temporale : all’incirca in corrispondenza con l’evento di estinzione registrato dalla documentazione stratigrafica si apriva, infatti, un lungo periodo di eruzioni vulcaniche di straordinaria portata, avvenute nell’attuale India occidentale, e i cui effetti sono ancora oggi ben visibili.
Si tratta dei cosiddetti Trappi del Deccan, un altopiano ricoperto, in parte, da spessi strati di estesissime colate di lava basaltica, estese oggi per circa 500.000 km2, che documentano una serie di fenomeni vulcanici che si sarebbero ripetuti, in più ondate di diversa entità, anche per alcune centinaia di migliaia di anni dopo il supposto impatto dell’asteroide di Chicxulub.
Il punto è capire se, e in che misura, questo prolungato vulcanismo abbia contribuito all’estinzione del Cretaceo, Secondo il professor Rodolfo Coccioni, professore ordinario di Paleontologia e Paleoecologia all’università di Urbino e già presidente della Società Paleontologica Italiana, è indubbio che l’estinzione dei dinosauri terrestri sia stata causata dall’impatto dell’asteroide: «Le prove sono numerose e pressoché inoppugnabili: raccontano tutte una medesima storia, i cui ingredienti principali sono il carattere improvviso dell’estinzione – documentato, in primis, dal fatto che subito dopo il limite stratigrafico K/T scompare ogni fossile di dinosauro – e la totale assenza di evidenze che facciano pensare a un trend di riduzione della biodiversità già in atto prima dell’evento.
- Se venissero rinvenuti fossili di dinosauri al di sopra del limite K/T potremmo anche rimettere in discussione l’ipotesi degli Alvarez, ma per ora ciò non è avvenuto.
- Si tratta di una teoria ragionevole, che ormai possiamo definire accertata».
- Questa linea di pensiero è condivisa dagli autori di uno studio pubblicato su PNAS (significativamente intitolato “L’impatto dell’asteroide, non il vulcanismo causò l’estinzione dei dinosauri della fine del Cretaceo”), nel quale si cerca di far luce, analizzando i numerosi dati finora disponibili, sulle reali cause di quell’evento che, 66 milioni di anni fa, modificò ancora una volta la traiettoria evolutiva della vita terrestre.
Il gruppo di ricerca ricorre a un metodo quantitativo, realizzando al computer una serie di modelli climatici nei quali, a partire da una riproduzione delle condizioni “normali” del clima sul finire del Cretaceo, vengono ricostruiti i diversi scenari che si sarebbero potuti realizzare in conseguenza dei diversi cataclismi ipotizzati, sia nel caso in cui solo uno dei due abbia influito, sia nel caso in cui le conseguenze dei due fenomeni si siano sovrapposte e sommate.
Il principale argomento di coloro che ritengono che l’estinzione K/T sia stata causata unicamente dagli effetti del vulcanismo del Deccan (in prima linea a sostenere questa ipotesi vi è il gruppo di ricerca di Gerta Keller, paleontologa dell’università di Princeton) consiste nel sottolineare come eruzioni vulcaniche di tale portata debbano aver immesso nell’atmosfera ingenti quantità di anidride carbonica (CO 2 ) e di anidride solforosa (SO 2 ), gas che avrebbero innescato un cambiamento climatico di vasta portata e una conseguente disarticolazione degli ecosistemi su scala globale.
Mentre la CO 2 causa un aumento delle temperature globali, la SO 2, al contrario, influisce negativamente sull’irraggiamento solare, causando un generale raffreddamento: sarebbe stato proprio quest’ultimo effetto, secondo i fautori dell’ipotesi “endogena” (causata, cioè, da fenomeni terrestri), ad aver innescato l’estinzione di massa riducendo drasticamente la vivibilità degli habitat.
Il professor Coccioni spiega : «L’ipotesi che il vulcanismo del Deccan abbia potuto innescare, da solo, un’estinzione di massa come quella della fine del Cretaceo è debole : se così fosse stato, in effetti, avremmo trovato prove diverse, coerenti con un lungo e costante periodo di diminuzione della biodiversità.
Inoltre, i modelli prodotti dai ricercatori fanno chiarezza anche sulle vicende climatiche: in uno scenario di prolungato vulcanismo, la riduzione delle temperature non avrebbe potuto incidere sugli ambienti così profondamente da spazzare via tutti gli habitat allora presenti, e dunque non avrebbe potuto causare un’estinzione di quel genere».
Cretaceous-Palaeogene (K/Pg) boundary at the Bottaccione Gorge, Italy, from the pages of Russell (January 1982 issue of @sciam ) 🦠 🌊 ☄️ #FossilFriday PS: an old 50 cents Lira coin, the pre-2000 (before Euro) Italian mint is on the K/Pg layer 🇮🇹 pic.twitter.com/rImgBA6j0c — Alessandro Chiarenza (@AAlechiarenza) November 13, 2020 I risultati presentati nell’articolo, infatti, raccontano una storia diversa da quella sostenuta dai fautori del vulcanismo: gli scenari simulati dai modelli computerizzati includono sia l’impatto dell’asteroide sia le ripetute eruzioni dei Trappi del Deccan, e combinano in diverse maniere i due eventi catastrofici.
Da nessuno degli scenari risultanti il vulcanismo appare la causa primaria dell’estinzione : se anche le emissioni di ceneri e gas avessero ridotto temporaneamente la luminosità solare, non avrebbero comunque potuto incidere per più del 5%; al contrario, si pensa che l’impatto dell’asteroide abbia ridotto la luminosità dei raggi del sole del 10% o addirittura del 20%, causando una diminuzione delle temperature tra i 9,7 °C e i 66,8°C,
- Inoltre, leggiamo nello studio, «alcuni ritengono che anche un oscuramento del 5% della luminosità solare sia una stima esagerata dell’entità del raffreddamento causato dal vulcanismo del Deccan, e che l’ipotesi di un raffreddamento di 4,5°C sia più probabile».
- La vivibilità degli habitat risulta annullata in ogni parte del pianeta solo nel caso di un oscuramento del sole del 15% o più, mentre nei modelli che simulano un continuo accrescimento dei livelli di CO 2, causato dalle eruzioni vulcaniche, essa è addirittura accresciuta.
Questa, forse, è la scoperta più sorprendente dello studio: le ripetute eruzioni dei Trappi del Deccan potrebbero aver avuto addirittura un effetto positivo sul clima, mitigando, grazie alle consistenti immissioni di CO 2 in atmosfera, gli effetti dell’inverno da impatto successivo alla caduta dell’asteroide, e contribuendo al ristabilirsi delle normali condizioni climatiche.
Il paleontologo Coccioni commenta: «Nonostante, a mio parere, le modellizzazioni contengano sempre, in sé, un margine di incertezza – legato alla possibilità che i dati utilizzati vengano messi in crisi, se non smentiti, da nuove evidenze –, questo lavoro, certamente molto valido, porta con sé delle possibilità di sviluppo interessanti.
La dimostrazione che, in ipotesi, l’immissione di CO 2 in atmosfera abbia innalzato le temperature incentiva ad approfondire lo studio delle conseguenze ecologiche di quei lontani eventi. Ad esempio potremmo chiederci, sulla base di questi dati, perché alcune specie non si siano estinte, e se alcune siano state addirittura favorite dal repentino sconvolgimento climatico e dall’altrettanto rapido (su scala geologica, s’intende) ristabilirsi di una situazione di normalità».
- «Da sempre – continua il professore – mi interesso di quel periodo geologico, e ho conservato tutti gli studi che sono stati finora pubblicati sul limite K/Pg.
- Se dovessi tracciare un bilancio, mi sembra di poter affermare che la ricerca sia avanzata seguendo un andamento altalenante.
- Tuttavia, la progressiva conferma della validità dell’ipotesi dell’asteroide è una tendenza innegabile : gli studi pubblicati da alcuni anni a questa parte si concentrano su aspetti collaterali, presentano prove ulteriori, approfondiscono argomenti specifici; oppure hanno natura conclusiva, come quello qui in questione.
Gli scettici, da parte loro, non si fermano : anche negli ultimi anni, hanno continuato a pubblicare in favore delle teorie alternative, ma le prove a favore dell’ipotesi esogena sono ormai pressoché schiaccianti». «Con questo – conclude Coccioni – non si nega in maniera assoluta il ruolo degli eventi vulcanici del Deccan, che sono a loro volta ampiamente documentati: anch’essi, probabilmente, devono aver contribuito allo sconvolgimento climatico ed ecologico del periodo.
Qual è il più grande carnivoro mai esistito?
Storia della scoperta – Scheletro di Giganotosaurus, esposto a Villa El Chocón, Provincia di Neuquén Nel 1993, il cacciatore di fossili dilettante Rubén D. Carolini scoprì la tibia di un dinosauro carnivoro mentre guidava sulla sua dune buggy nei calanchi vicino a Villa El Chocón, nella Provincia di Neuquén della Patagonia, Argentina,
- In seguito, giunsero sul posto degli specialisti del National University of Comahue che dissotterrarono il campione e ne segnalarono il ritrovamento.
- La scoperta venne annunciata dai paleontologi argentini Rodolfo Coria e Leonardo Salgado durante l’incontro della Società di Paleontologia dei Vertebrati nel 1994, dove lo scrittore scientifico americano Don Lessem offrì dei finanziamenti per lo scavo, dopo essere rimasto colpito da una foto dell’osso.
Il cranio parziale era disperso su una superficie di circa 10 metri quadrati, e lo scheletro postcraniale era disarticolato. Il campione costituiva quasi il 70% dell’intero animale, e comprendevano la maggior parte della colonna vertebrale, la cintura pettorale e pelvica, i femori, la tibia sinistra e il perone.
Nel 1995, questo esemplare (MUCPv-Ch1) venne preliminarmente descritto sulla rivista Nature da Coria e Salgado, che ne fecero l’olotipo del nuovo genere e nuova specie Giganotosaurus carolinii (a quell’epoca alcune parti dello scheletro erano ancora racchiuse nel blocco di gesso). Il nome generico, Giganotosaurus, deriva dal greco antico per Gigas /γίγας (che significa “gigante”), notos /νότος (che significa “australe/sud”, in riferimento alla sua provenienza) e – sauros /- σαύρος (che significa “lucertola”).
Il nome specifico, carolinii, onora Carolini, il suo scopritore. Lo scheletro olotipo è ora ospitato all’Ernesto Bachmann Palaeontological Museum di Villa El Chocón, inaugurata nel 1995 su richiesta di Carolini. L’esemplare è l’attrazione principale del museo, ed è posto sul pavimento di sabbia di una sala dedicata all’animale, insieme agli strumenti utilizzati dai paleontologi durante lo scavo. Scheletro montato di Giganotosaurus, esposto a Villa El Chocón, Provincia di Neuquén Una delle caratteristiche sui teropodi che ha sempre più attirato l’interesse scientifico è il fatto che il gruppo comprende i più grandi predatori terrestri del Mesozoico,
- Questo interesse ha avuto inizio con la scoperta di uno dei primi dinosauri noti, il Megalosaurus, chiamato così nel 1824 per le sue grandi dimensioni (nonostante le sue dimensioni relativamente piccole se paragonate ad altri teropodi mesozoici).
- Più di mezzo secolo dopo, nel 1905, venne descritto il Tyrannosaurus che rimase nella cultura popolare il più grande dinosauro carnivoro mai scoperto per ben 90 anni e tale convinzione persiste ancora oggi, sebbene ci siano numerosi carnivori che superavano in stazza il Tyrannosaurus,
La discussione su chi fosse il più grande teropode mai scoperto fu riaperta nel 1990, con le nuove scoperte in Africa e Sud America. Nella loro descrizione originale, Coria e Salgado considerarono il Giganotosaurus il più grande dinosauro carnivoro dal sud del mondo, e forse il più grande al mondo, sebbene il confronto con Tyrannosaurus fosse difficile a causa delle frammentarietà dei resti fossili.
Tuttavia osservarono che il femore del Giganotosaurus misurava 1,43 metro, ossia 5 centimetri (2 pollici) in più rispetto a quello di “Sue”, il più grande esemplare di Tyrannosaurus conosciuto, e che le ossa di Giganotosaurus sembravano essere più robuste, il che indica un animale molto più pesante.
Coria e Salgado hanno stimato che il cranio era lungo 1,53 metro, e l’intero animale doveva aggirarsi sui 12,5 metri di lunghezza per un peso di circa 6-8 tonnellate (13.230-17.640 libbre). Nel 1996, il paleontologo americano Paul Sereno e colleghi descrissero un nuovo cranio del relativo genere Carcharodontosaurus dal Marocco, un teropode descritto nel 1927, ma in precedenza conosciuto solo per resti frammentari (i fossili originali andarono perduti durante la seconda guerra mondiale ).
Sereno et al. stimarono che il cranio doveva essere lungo circa 1,60 metri, simile a quello del Giganotosaurus, ma forse più lungo di quello del Tyrannosaurus “Sue”, con un cranio di 1,53 metri. Inoltre, sottolinearono che il Carcharodontosaurs sembrava avere un cranio proporzionalmente più grande, mentre Tyrannosaurus aveva arti posteriori proporzionalmente più grandi.
In un’intervista del 1995 per un articolo di Science News intitolato ” New Beast Usurps T. Rex as King Carnivore “, Sereno osservò che questi teropodi recentemente scoperti dal Sud America e Africa gareggiavano con il Tyrannosaurus per il titolo di più grande dinosauro predatore mai scoperto, e ciò aiuterebbe alla comprensione delle faune del Cretaceo superiore,
- Nello stesso numero di Science in cui Carcharodontosaurus venne descritto, il paleontologo canadese Philip J.
- Currie precisò che il titolo era ancora da determinare e che in paleontologia le dimensioni non sono più importanti di quanto lo siano, ad esempio, gli adattamenti, le relazioni e la distribuzione.
Inoltre ha trovato degno di nota che i due animali sono stati trovati a distanza di un anno l’uno dall’altro, ed erano strettamente imparentati, a dispetto dell’essere stati trovati in diversi continenti. Scheletro montato di Giganotosaurus, all’Australian Museum, Sydney Nel 1997, in un’intervista di Science News, Coria stimò che il Giganotosaurus raggiungesse i 13,7 metri- 14,3 metri di lunghezza per un peso di 8-10 tonnellate (8,8 a 11,0 tonnellate corte) sulla base di nuovo materiale, ben più grande di Carcharodontosaurus,
Sereno replicò che sarebbe stato difficile determinare un intervallo di dimensioni per una specie basata su pochi esemplari, incompleti, ed entrambi i paleontologi hanno convenuto che altri aspetti di questi dinosauri erano più importanti di risolvere la “disputa sulle dimensioni”. Nel 1998, Jorge O.
Calvo e Coria ritrovarono un dentario parziale contenente alcuni denti (MUCPv-95) di Giganotosaurus, ritrovata da Calvo vicino a Los Candeleros nel 1988. Calvo e Coria constatarono che il dentario fosse identico a quello dell’olotipo, sebbene più grande dell’8%, a 62 cm (24 pollici), fugando l’ipotesi che potesse trattarsi di un nuovo teropode,
- Anche se la parte posteriore è incompleta, hanno proposto che il cranio del campione olotipico fosse lungo circa 1,80 metri, e stimarono che il cranio del campione fosse ben più grande arrivando a 1,95 metri di lunghezza, rappresentando il cranio più lungo di qualsiasi altro teropode.
- Nel 1999, Calvo ritrovò un dente incompleto, (MUCPv-52) di Giganotosaurus ; questo esemplare venne scoperto nei pressi del Lago Ezequiel Ramos Mexia nel 1987 da A.
Delgado, ed è quindi il primo fossile noto del genere nella regione. Calvo ha inoltre suggerito che alcuni piste di impronte fossili di teropodi e tracce isolate (che fanno da base all’ ichnotaxon Abelichnus astigarrae, nel 1991) appartenessero in realtà a Giganotosaurus, in base alle loro grandi dimensioni.
Le maggiori tracce sono lunghe ben 50 centimetri (20 pollici) con un passo di 130 centimetri (51 pollici), e il più piccolo è di 36 centimetri (14 pollici) di lunghezza con un passo di 100 centimetri (39 pollici). Le tracce sono tridattile (a tre dita) e hanno grandi e grossolane dita, con l’impressione dell’artiglio in primo piano.
Le impressioni delle dita occupano la maggior parte della lunghezza delle pista, ed una traccia ha un tacco sottile. Anche se le tracce sono state trovate in un livello stratigrafico superiore rispetto ai principali fossili di Giganotosaurus, erano negli stessi strati dove è stato ritrovato il dente singolo, insieme ad alcune ossa di dinosauri sauropodi, noti dagli stessi strati di Giganotosaurus,
Nel 2001, il medico-scienziato Frank Seebacher propose un nuovo metodo polinomiale di calcolo delle stime del corpo e della massa per i dinosauri (usando la lunghezza, la profondità e la larghezza del corpo dell’animale), e ha stimato che il Giganotosaurus arrivasse a pesare 6,6 tonnellate (7,3 tonnellate corte), sulla base delle dimensioni originali di 12,5 metri.
Nella descrizione del 2002, della scatola cranica di Giganotosaurus, Coria e Currie hanno proposto una stima di 1,60 metri per la lunghezza del cranio olotipo, e ha calcolato un peso di 4,2 tonnellate (4,6 tonnellate corte) estrapolando dai 520 millimetri di circonferenza del femore.
Ciò comporta un quoziente di encefalizzazione (misura relativa delle dimensioni del cervello) di 1,9. Nel 2004, Gerardo V. Mazzetta e colleghi hanno sottolineato che anche se il femore dell’olotipo era più grande di quello di “Sue”, la tibia era di 8 cm (3 pollici) più corta, a 1,12 metri. Hanno inoltre provato che il campione olotipico fosse stato pari al peso di Tyrannosaurus di 8 tonnellate (8,8 tonnellate corte) (marginalmente più piccole di “Sue”), e che il dentario potrebbero rappresentare un animale di 10 tonnellate (11 tonnellate corte), se geometricamente simile al modello olotipico.
Utilizzando l’equazione multivariata di regressione, questi autori hanno suggerito un peso alternativo di 6,5 tonnellate (7,2 tonnellate corte) per l’olotipo e 8,2 tonnellate (9,0 tonnellate corte) per il campione più grande, e che quest’ultimo era quindi il più grande carnivoro terrestre conosciuto. Cranio olotipico di Giganotosaurus Nel 2005, Cristiano Dal Sasso e colleghi hanno descritto del nuovo materiale cranio (un muso) di Spinosaurus (anche i suoi fossili originali vennero distrutti durante la seconda guerra mondiale ), e conclusero che l’animale a cui apparteneva il fossile doveva essere lungo tra i 16 e i 18 metri, con un peso 7-9 tonnellate (7,7 a 9,9 tonnellate corte), superando in dimensioni qualsiasi altro teropode noto.
- Nel 2006, Coria e Currie descrissero il grande teropode Mapusaurus dalla Patagonia, strettamente imparentato con Giganotosaurus e approssimativamente delle stesse dimensioni.
- Nel 2007, François Therrien e Donald M.
- Henderson affermarono che sia Giganotosaurus sia Carcharodontosaurus possedessero una lunghezza di 13,5 metri di lunghezza e un peso di 13,8 tonnellate (15,2 tonnellate corte), superando il Tyrannosaurus, e stimò che il cranio olotipo di Giganotosaurus fosse di 1,56 metri di lunghezza.
Affermarono inoltre che queste stime dipendevano anche dal fatto che i crani incompleti di questi animali erano stati ricostruiti in modo corretto, e sono necessari campioni più completi per stime più accurate. Hanno inoltre scoperto che Dal Sasso e colleghi avevano ricostruito lo Spinosaurus con stime esagerate, stimandolo piuttosto a 14,3 metri (47 ft) di lunghezza, per un peso di 20,9 tonnellate (23,0 tonnellate corte).
Essi conclusero che questi dinosauri avevano raggiunto il limite di massa e dimensioni consentite per un animale bipede, Nel 2012, Matthew T. Carrano e colleghi hanno notato che il Giganotosaurus era stato studiato quasi unicamente per le sue dimensioni, e nonostante l’olotipo fosse relativamente completo, ma non era ancora stato descritto in dettaglio, a parte la scatola cranica,
Hanno sottolineato, inoltre, che molti contatti tra le ossa del cranio non si sono conservati, rendendo le stime da esso estrapolate piuttosto ambigue. Hanno provato, invece, che i crani di Giganotosaurus e Carcharodontosaurus avevano le stesse esatte dimensioni di quello del Tyrannosaurus,
Hanno anche misurato il femore dell’olotipo stimandolo a 1.365 metri, a differenza della misura originale, e proposero una massa corporea inferiore all’originale. Nel 2013, il paleontologo americano Scott Hartman ha pubblicato una stima doppia (sulla base delle ricostruzioni scheletriche disegnate), in cui ha trovato che Tyrannosaurus (“Sue”) fosse più grande di Giganotosaurus,
Egli ha stimato che l’olotipo di Giganotosaurus aveva un peso di 6,8 tonnellate (7,5 tonnellate corte), e il più grande campione aveva un peso di 8,2 tonnellate (9,0 tonnellate corte). Il Tyrannosaurus, invece, aveva un peso di 8,4 tonnellate (9,3 tonnellate corte), e Hartman notò che aveva un torso più ampio, anche se i due sembravano simili in vista laterale.
Egli ha anche sottolineato che il dentario di Giganotosaurus era presumibilmente dell’8% più grande di quello del campione olotipico, ma era più verosimili che fosse solo del 6,5% più grande, o potrebbe semplicemente essere appartenuto a un animale di dimensioni simili con un dentario più robusto. Alla fine Hartman concluse che non è possibile dare una stima fissa e conclusiva dell’animale con campioni frammentari e solo un campione quasi completo e che ci vorranno altri fossili meglio conservati per stabilire delle vere dimensioni, così come c’è voluto un secolo per trovare l’esemplare di Tyrannosaurus “Sue”.
Nel 2014, Nizar Ibrahim e colleghi stimarono che la lunghezza di Spinosaurus fosse uguale e forse superiore a 15 metri, estrapolandola da un nuovo esemplare. Ciò renderebbe lo Spinosaurus il più grande dinosauro carnivoro mai esistito.
Che verso faceva il T Rex?
Verso del dinosauro Siamo abituati a pensare ai dinosauri, specie a quelli carnivori, come ad animali che ruggivano. Un po’ per via di film come e Jurassic World, un po’ perché tutti, o quasi, da bambini ci siamo divertiti facendo ruggire un T-Rex di plastica.
In realtà però i paleontologi non hanno alcuno strumento certo per determinare che versi facessero i dinosauri. Prima di tutto perché, beh, sono estinti. E poi perché i fossili non forniscono indizi sufficienti per formulare solide ipotesi. Adesso però alcuni ricercatori statunitensi e canadesi hanno condotto uno studio dove provano a fare delle ipotesi sui versi dei dinosauri partendo da criteri statistici.
Sono giunti alla conclusione che non ruggivano. Molto più probabilmente, sostengono gli studiosi, i dinosauri “tubavano”, cioè emettevano un verso a bocca chiusa simile a quello di alcuni volatili come le colombe e i piccioni. La squadra, composta da ricercatori dell’Università del Texas, della Midwestern University in Arizona, della Memorial University di Newfoundland, in Canada, e dell’Università dello Utah, è partita dal presupposto che i dinosauri hanno più in comune con gli uccelli che con i rettili di oggi (cosa, a dire il vero, riportata correttamente dall’incriminato Jurassic Park ).
Il problema, sembra, è che alcuni volatili emettono il loro verso a becco aperto ed altri a becco chiuso, questi ultimi producendo un suono trattenuto in gola, simile al tubare dei piccioni. I ricercatori hanno analizzato statisticamente 208 specie di uccelli per scoprire pattern che potessero spiegare la differenza evolutiva tra le diverse tipologie di suono.
Quello che hanno scoperto è che la «vocalizzazione a bocca chiusa è comparsa almeno sedici volte negli arcosauri, il gruppo che include uccelli, dinosauri e coccodrilli», come ha detto Chad Eliason dell’Università del Texas. «Un altro dato interessante è che solo animali con una dimensione relativamente grande, cioè quella di una colomba o anche maggiore, adottano questo tipo di comportamento vocale».
- Dunque se il tubare è più diffuso tra gli uccelli che fanno capo al gruppo degli arcosauri, e visto che anche i dinosauri erano arcosauri, è lecito dedurre che è probabile che i dinosauri emettessero versi analoghi.
- I risultati della ricerca completa saranno pubblicati a ottobre sulla rivista specializzata Evolution,
Tuttavia un’ è apparsa sul sito dell’Università del Texas e da lì è stata ripresa da diversi media internazionali. : Verso del dinosauro
Chi è l Indominus?
Film come “Jurassic World” li raccontano in modi molto creativi e spaventosi: in realtà erano più piccoli, spesso più stupidi e soprattutto con le piume – Una scena di “Jurassic World” con Chris Pratt L’11 giugno è uscito in Italia Jurassic World, quarto capitolo della saga dedicata ai dinosauri nata nel 1993 con Jurassic Park.
- Nel suo primo weekend il film ha incassato quasi 500 milioni di euro, è costato circa 130 milioni di euro e dopo due settimane nelle sale è vicino a un guadagno superiore al miliardo di euro.
- Dalla diffusione del primo trailer ufficiale – nel novembre 2014 – Jurassic World ha fatto molto parlare per i suoi protagonisti principali: i dinosauri, naturalmente.
Critici, giornalisti, paleontologi e appassionati si sono soprattutto concentrati su come e quanto i dinosauri rappresentati nel trailer, e poi nel film, fossero realistici. Già vent’anni fa, in occasione del primo Jurassic Park ci furono molte discussioni che – seppur tenendo conto di molte licenze prese dal film – terminavano di solito con un giudizio positivo del lavoro di ricerca scientifica e paleontologica dietro al film.
Chi realizzò Jurassic Park, scrive il Guardian, “lavorò a stretto contatto con gli scienziati e rappresentò molte cose nel modo giusto”, “usando la scienza come base della sua capacità estetica di sorprenderci (e spaventarci)”. La maggior parte dei commentatori concordano invece sul fatto che Jurassic World non sia riuscito a fare lo stesso, questo perché gran parte dei circa 20 dinosauri che compaiono nel film non hanno molto a che vedere con quello che oggi si sa su quelle stesse specie di dinosauri.
Prima di tutto per un grande ed evidente motivo: negli ultimi vent’anni (e quindi dopo Jurassic Park ) si è capito che la maggior parte dei dinosauri era ricoperta da piume, I paleontologi che hanno analizzato Jurassic World si sono poi concentrati sui singoli dinosauri, trovando in ognuno alcuni elementi di fedeltà al vero e molte licenze che chi ha realizzato il film si è preso. L’ Indominus Rex L’ Indominus Rex è il più grande e letale dinosauro di Jurassic World, e come il film spiega fin da subito non è mai esistito: è un incrocio tra alcuni dinosauri e altre specie animali, creato grazie all’ingegneria genetica. Anche ipotizzando che si possa creare geneticamente un dinosauro di quel tipo ci sono però degli errori. Il Mosasauro Il Mosasauro è l’animale acquatico che già si vedeva nel trailer di Jurassic World e, come ammette anche il sito ufficiale di promozione del film, tecnicamente non era un dinosauro, bensì un rettile, “un’immensa lucertola d’altura” lunga 18 metri, vissuta durante il Cretaceo superiore, circa 80 milioni di anni fa.
I Velociraptor I Velociraptor erano tra i dinosauri protagonisti del primo Jurassic Park e lo sono anche in Jurassic World e anche qui il problema principale sono le dimensioni. I Velociraptor del film sono lunghi alcuni metri mentre, nella realtà, si crede fossero molto più piccoli: “delle dimensioni di un tacchino”, dice Lacovara.
Come i tacchini i Velociraptor avevano poi delle piume, completamente assenti nel film. Un’altra grande licenza che il film si prende riguarda poi il comportamento dei Velociraptor, che in Jurassic World finiscono per essere addestrati dal protagonista maschile interpretato da Chris Pratt, sviluppando con lui un particolare – e non plausibile – legame.
BBC scrive : L’idea di addestrare dei Velociraptor non è qualcosa di raccomandabile. Nonostante fossero intelligenti per gli standard del tempo, fissare con insistenza un agile predatore dotato di denti taglienti, grandi artigli, e con l’intelligenza e la capacità d’apprendimento di uno struzzo, non sarebbe una grande idea e il tentativo di addestrarli non finirebbe bene. Gli Pterosauri Gli Pterosauri sono quegli animali (ce ne sono di due tipi) che volano in Jurassic World e che, come si vede anche nel trailer, dopo una serie di sfortunati eventi riescono a fuggire dalla voliera in cui si trovano e attaccano i visitatori del Jurassic World, sollevando e uccidendo i più sfortunati tra loro.
- Nella storia del pianeta Terra gli Pterosauri sono stati i primi vertebrati in grado di volare e sono esistiti nel Triassico, più di 200 milioni di anni fa.
- Sono esistiti, volavano davvero e avevano dimensioni paragonabili a quelle mostrate nel film: tutti gli esperti concordano però nel ritenere che gli Pterosauri non sarebbero mai stati in grado di sollevare pesi paragonabili a quello di un essere umano adulto, come si vede nel film.
Proprio perché erano i primi vertebrati a volare le loro ossa erano molto fragili, ha spiegato il paleontologo Matthew Carrano al Washington Post: « È molto difficile pensare che una persona non possa essere in grado di scappare da uno Pterosauro, anzi potrebbe probabilmente riuscire a schiacciarlo». Altri dinosauri In Jurassic World compare anche il Tirannosaurus Rex che, come nel primo film della saga, è stato giudicato abbastanza simile a come in realtà è stato quando esisteva durante il Cretaceo Superiore, circa 70 milioni di anni fa. Ugualmente fedeli alla realtà sono stati ritenuti gli Apatosauri che compaiono nel film: questi animali – conosciuti come brontosauri – sono stati ben rappresentati anche perché sono mostrati per poco, e c’è quindi meno tempo per evidenziare eventuali errori.
Errori che, quando ci sono, sono funzionali al film e alla sua trama. Perché Jurassic World è un monster movie – come Godzilla o King Kong – e può quindi permettersi licenze e libertà di ogni tipo: “Questo è un monster movie”, scrive BBC, “in cui capita solamente che alcuni dei mostri siano leggermente basati su obsolete rappresentazioni di animali che esistettero tempo fa”.
Anche perché a volerli ricreare servirebbe quello che gli scienziati della saga che ha portato a Jurassic World sono riusciti a trovare nel sangue di una zanzara di milioni di anni fa, zanzara fossilizzata nell’ambra: del DNA di dinosauro. Come ha detto a Vocativ Daniel Barta, paleontologo al Museo americano di storia naturale di New York: il DNA non può durare 65 milioni di anni ed è quindi ” altamente improbabile che si potrà mai trovare abbastanza DNA per creare qualcosa come un tirannosauro “.
Quanti denti ha il Carnotauro?
Cranio – Cranio di Carnotaurus in vista quasi frontale, al Discovery Museum, Kenosha, Wisconsin Il cranio di Carnotaurus misurava 59.6 cm (23,5 pollici) di lunghezza, ed era proporzionalmente più corto e più profondo che in qualsiasi altra grande dinosauro carnivoro.
- Il muso era moderatamente largo, non si assottigliava come visto in più teropodi basali come Ceratosaurus, e le mascelle erano curvate verso l’alto.
- Come negli altri abelisauridi, le ossa facciali, in particolare le ossa nasali, sono scolpite da numerosi piccoli fori e picchi.
- In vita, questa rugosità ossea avrebbe sorretto una qualche struttura cheratinosa o dermica,
L’elemento distintivo di Carnotaurus erano ovviamente le sue corna sporgenti obliquamente sopra gli occhi. Questi corni, formati dal prolungamento delle ossa frontali, erano molto spessi, a forma di cono ma in sezione trasversale alquanto verticalmente appiattita, e misurati 15 cm (5,9 pollici) di lunghezza.
In vita, probabilmente, queste corna erano rivestite di cheratina divenendo ancora più grandi. Gli occhi, proporzionalmente piccoli, si trovavano nella parte superiore dell’ orbite, La parte superiore era leggermente ruotata in avanti, probabilmente permettendo un certo grado di visione binoculare,
I denti erano lunghi e sottili, in contrasto con i denti brevi che si riscontrano normalmente negli abelisauridi, Su ogni lato della mascella superiore c’erano quattro denti premascellari e dodici denti mascellari,, mentre la mandibola era fornita di quindici denti per lato.