Quanto Dura L Anestesia Locale Del Dentista?
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Quanto dura l’anestesia del dentista – La durata dell’anestesia dipende dal tipo di anestesia effettuata e, soprattutto, dalla tipologia di farmaco somministrato, Alcuni farmaci utilizzati nel caso di anestesia locale topica hanno una durata più breve di altri, mentre in linea generale la durata dell’anestesia locale è di 2/3 ore, Nel caso dell’anestesia totale, invece, è possibile che l’effetto duri fino a 5/6 ore.
Cosa ce dentro l’anestesia locale?
Fra i principali anestetici locali impiegati in terapia, ricordiamo la benzocaina, la lidocaina, l’articaina, la cloroprocaina, la mepivacaina, la bupivacaina, la levobupivacaina e la ropivacaina.
Quanto fa male togliere un dente?
Estrarre un dente è doloroso? L’estrazione di un dente fa male? In realtà no, non è questo il problema nell’immediato. Togliere un dente, oggi, non è un intervento doloroso perché l’anestesia mette al sicuro il paziente da spiacevoli sofferenze.
Quando l’anestesia locale non funziona?
Luigi Genzano Molte variabili determinano l’efficacia o meno dell’anestesia locale, come l’ansia e i capelli rossi. Dal punto di vista operativo, avere il pieno controllo visivo sia della tubofiala che dell’ago è fondamentale per evitare errori e sovradosaggi Per ogni odontoiatra gli anestetici locali sono di utilizzo quotidiano. Nonostante questi farmaci funzionino generalmente bene e siano ormai molto sicuri perché supportati da anni di monitoraggio da parte della farmacovigilanza, sono molte le variabili che concorrono a un loro efficace effetto nel cavo orale del paziente. L’aspetto più complesso è invece la corretta scelta del farmaco e la sua modulazione in particolari categorie di pazienti, da quelli in età pediatrica ai cardiopatici, fino a quelli con insufficienza epatica. Abbiamo fatto il punto e stilato qualche consiglio pratico con l’aiuto di Luigi Genzano, odontoiatra libero professionista di Matera, la cui carriera professionale lo ha portato ad approfondire, tra l’altro, il corretto utilizzo degli anestetici locali in odontoiatria. Tra gli effetti avversi dell’anestesia locale c’è anche la parestesia transitoria o permanente e proprio un’intervista che abbiamo realizzato qualche anno fa a Genzano, dal titolo “Parestesia, colpisce un paziente su mille”, è tutt’ora uno degli articoli più letti di DentalAcademy.it ( www.dentaljournal.it/parestesia-colpisce-un-paziente-su-mille ). Dottor Genzano, quali criteri guidano l’odontoiatra nella scelta dell’anestetico locale più adatto, in funzione del tipo di intervento odontoiatrico e del paziente? In odontoiatria la scelta dell’anestetico più adatto è per tutti gli operatori una pratica comune e delicata. Un intervento in cui è richiesta una visibilità buona del campo operatorio porterà l’odontoiatra a scegliere un anestetico con vasocostrittore, con concentrazioni più o meno elevate. Tuttavia, se il paziente è cardiopatico, possono esserci controindicazioni all’utilizzo di vasocostrittori, il cui dosaggio va modulato, e in un paziente asmatico o in una donna in gravidanza è meglio evitarli. Anche glaucoma e ipertensione arteriosa determinano una ridotta tollerabilità ai vasocostrittori. Se invece, per esempio, c’è un’insufficienza epatica moderata, è consigliabile procedere con cautela e ridurre la dose complessiva di anestetico somministrato: in generale si sceglierà l’articaina. Ma la scelta della molecola non è sufficiente a garantire un’analgesia senza complicanze e sono molteplici i fattori che influenzano il risultato; tra questi uno raramente valutato è la scelta dell’iniettore. La storia ci ha portato ad adattare le nostre abitudini alla tecnologia, con iniettori in vetro o metallici, con e senza aspirazione, elettronici, monouso, con sistemi di sicurezza anti puntura ecc. Certamente si è passati da iniettori in cui l’aspirazione era un po’ complicata o poco visibile a quelli attuali, in cui il controllo visivo della tubofiala già precaricata è totale, comprese le procedure d’aspirazione. Certamente questo aiuta a non avere complicanze dovute a iniezioni intravasali accidentali di anestetici. Come comportarsi con i pazienti più difficili? Bambini e fobici vanno trattati con precauzione, per cercare di ridurne l’agitazione e la non collaborazione. Inoltre, nel bambino, che possiede un metabolismo più rapido rispetto all’adulto, il farmaco ha una minore emivita e, dato il minor volume di fluidi corporei, il divario tra dose terapeutica e dose tossica di anestetico si restringe. È necessario evitare di superare, ogni 15 kg di massa corporea, la dose di una tubofiala di articaina 4% 1:200.000 per seduta e per giorno. Ci sono poi pazienti con patologie in cui gli anestetici locali sono controindicati e alcuni in cui sono indicati certi principi attivi e non altri. Nei pazienti con patologie cardiovascolari si ritiene che 0,036 mg di adrenalina (due fiale di articaina 4% con 1:100.000) o equivalenti siano utilizzabili con vantaggio (anestesia profonda e prolungata, riduzione del sanguinamento) superiore al rischio di sovraccarico di lavoro cardiaco rappresentato dalla reazione adrenergica scatenata dal dolore per una insufficiente anestesia. Infatti, in seguito all’iniezione di una fiala di lidocaina (1,8 ml) al 2% con 1:100.000 di epinefrina (0,018 mgr), i livelli plasmatici di epinefrina aumentano di due-tre volte senza causare cambiamenti significativi della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca; tre fiale aumentano i livelli di 5-6 volte e sono accompagnati da variazioni emodinamiche senza sintomi; invece lo stress conseguente al dolore può aumentare i livelli di catecolamine endogene plasmatiche di 40 volte. Una ridotta tolleranza agli anestetici locali è presente nelle epatopatie, che determinano una diminuita metabolizzazione degli anestetici amidici: lidocaina e mepivacaina sono farmaci metabolizzati al 90% nel fegato. Lo stesso accade nei deficit genetici di pseudocolinesterasi ematiche, che diminuiscono la metabolizzazione degli anestetici esterei: l’articaina viene metabolizzata a livello ematico; nella pratica clinica questi casi sono meno frequenti. Come possono interagire gli anestetici locali con gli altri farmaci? Bisogna fare attenzione alle interazioni farmacologiche tra vasocostrittore e alcuni principi, in particolare: antidepressivi triciclici (tachicardia, ipertensione sistolica), fenotiazine (ipotensione) e betabloccanti (ipertensione). Anche i farmaci betabloccanti non selettivi (propanololo), antagonisti alfa adrenergici (guanetidina, reserpina) e inibitori delle monoamino-ossidasi (Imao) possono interagire con i vasocostrittori causando ipertensione; il dosaggio dei vasocostrittori va quindi ridotto in questi casi a due fiale di anestetico con vasocostrittore 1:100.000 (<0,036mg adrenalina). Iniettore monouso con dispositivo antipuntura (Pierrel) Quali sono le problematiche più comuni associate alla somministrazione degli anestetici locali? Pomfi ed ematomi si possono presentare quando non abbiamo un controllo visivo ottimale dell'ago e quindi sbagliamo a iniettare l'anestetico e le zone con mucosa sottile o riccamente vascolarizzata sono le più delicate da questo punto di vista.
Un’altra problematica particolarmente sgradevole è il mancato effetto dell’anestetico. Esistono molteplici cause possibili: l’iniezione lontana dalla sede del nervo, nei muscoli, nel tessuto adiposo, nell’area con un’infiammazione dei tessuti oppure la presenza di cavità cistiche; ma può prodursi anche per il deterioramento del farmaco in seguito a una cattiva conservazione.
Alcune manovre accidentali, come l’iniezione di un anestetico in un vaso oppure iniezioni ripetute, possono invece determinare un sovradosaggio. Possono poi verificarsi delle parestesie: quelle traumatiche dovute alla procedura sono più frequenti, mentre sono rare quelle permanenti da trauma con ago, e ancora più rare quelle dovute al farmaco.
- I pazienti con fobia degli aghi o paura del dolore possono avere reazioni vasovagali, che non dipendono dal principio attivo dell’anestetico, ma sono dovute soprattutto all’aumento in circolo dell’adrenalina.
- Possono esserci infine reazioni avverse al farmaco ma sono molto rare.
- Le reazioni da anestetico sono generalmente autolimitanti, possono comparire in maniera immediata, rapida (tre-cinque minuti) o ritardata (30 minuti) e presentare diversi gradi di gravità: nella forma conclamata, dopo una prima fase di eccitazione, subentra una seconda di depressione del sistema nervoso centrale con recupero lento.
Le reazioni da vasocostrittore sono generalmente di breve durata ma, come si diceva, esiste il rischio di complicazioni in pazienti con patologie cardiovascolari. Come ridurre l’incidenza di effetti avversi attraverso l’adozione di buone pratiche odontoiatriche? Gli odontoiatri dovrebbero fare un po’ come gli anestesisti, che fanno abitualmente una visita preliminare per conoscere lo stato di salute generale del paziente e programmare l’anestesia in base al tipo di intervento.
- In generale, l’operatore deve conoscere la farmacologia dell’anestetico locale che utilizza: la dose massima in mg/kg, il contenuto in mg/ml della tubofiala, l’eventuale contenuto in mcg/ml di epinefrina, la durata d’azione e le controindicazioni specifiche.
- È poi importante che ci sia un’esecuzione scrupolosa della tecnica di iniezione, con aspirazioni ripetute e iniezione lenta e frazionata.
Nei dieci minuti successivi alla somministrazione, il paziente deve essere sottoposto ad attenta osservazione. L’odontoiatra inoltre deve saper riconoscere e gestire una reazione dovuta alla paura, identificare una reazione allergica e conoscere gli effetti del Ph; deve poi fornire al paziente o al genitore le informazioni riguardo ai rischi di auto-lesione dei tessuti molli.
Pur riducendole al minimo, è impossibile evitarle del tutto: come comportarsi quando si verificano complicanze? È opportuno disporre di un protocollo da seguire ed è necessario che tutti i collaboratori siano informati e preparati a queste eventualità. Ci sono corsi di primo soccorso che possono portare un aiuto concreto negli ambulatori odontoiatrici, basti pensare che gli operatori sono più a rischio di infarto dei pazienti Ogni qualvolta si proceda ad eseguire un’anestesia locale o locoregionale si deve avere a disposizione il necessario per la rianimazione cardio-polmonare nel caso sopraggiungessero complicanze di qualsiasi natura.
Nel caso si manifestasse un’emergenza, la cosa fondamentale è mantenere la calma e tranquillizzare il paziente. Vanno poi monitorati, oltre allo stato di coscienza, la pervietà delle vie aeree, la respirazione e la circolazione ed è necessario avviare le procedure di rianimazione nel caso queste si rendano necessarie, oppure somministrare il farmaco o i presidi idonei a risolvere la situazione critica.
Di quale attrezzatura bisogna dotarsi? È necessario che lo studio sia attrezzato per la gestione delle sia pur rare emergenze e questo comporta la disponibilità di alcuni farmaci: ossigeno in quantità sufficiente a erogare almeno 10 litri al minuto per 30 minuti (300 l in totale); nitroglicerina in compresse (Trinitrina) o uno spray (Natispray) da 0,3 mg sublinguale; salbutamolo, somministrato con inalatore pressurizzato e pre-dosato a 100 mcg/dose.
È consigliato l’uso dei cosiddetti “distanziatori”, che permettono un più efficace assorbimento del farmaco anche in bambini, anziani e pazienti meno collaboranti. Servono poi: epinefrina, fiale da 1mg/ml (1:1000), da conservare in frigorifero; aspirina, in compresse da 300 mg; glucagone, in fiale da 1 mg; soluzioni di glucosio per somministrazione orale; soluzioni di glucosio al 33% da 10 ml per via endovenosa; diazepam, in fiale da 10 mg/2ml; clorfenamina in fiale da 10 mg/ml; nifedipina in capsule da 10 mg, per via sublinguale; corticosteroidi e.v.
e per o.s. (es. metilprednisone 20-40 mg, betametasone 2 mg); fisiologica. Oltre ai farmaci esistono poi dei device, dispositivi e ausili che possono essere fondamentali nel trattamento delle emergenze: per la somministrazione dell’ossigeno, bombola portatile fissata su carrello con valvola riduttrice di pressione, provvista di una via per l’erogazione mediante flussometro e di una verso un pallone autoespansibile o maschera; cannule orofaringee; sistemi di aspirazione (portatili) con tubi di collegamento; siringhe sterili non riutilizzabili, di dimensioni e capacità diverse e aghi; sistemi per la raccolta delle sostanze broncodilatatrici.
Renato Torlaschi Giornalista Italian Dental Journal QUANDO L’ANESTETICO NON FUNZIONA: DALL’ANSIA AI CAPELLI ROSSI_ Nella pratica clinica, talvolta non si riesce a ottenere l’effetto anestetico sperato. Qui di seguito il dottor Luigi Genzano ci elenca alcune cause, dalle più comuni alle più rare. Oltre a quanto elencato, bisogna ben valutare il dosaggio necessario per il paziente specifico, nonché il luogo esatto di infiltrazione dell’anestetico, utilizzando dunque una tecnica anestetica corretta.
Infezione e/o infiammazione locale Il pH basso della mucosa, la vasodilatazione e l’ipersensibilità nervosa possono contribuire a ridurre l’effetto anestetico. Gli anestetici dentali, per poter agire in maniera efficace, devono trovarsi in un ambiente con pH neutro. Varianti anatomiche del paziente Un nervo alveolare inferiore o un nervo mieloide bifido possono causare il fallimento dell’anestesia tronculare.
Un foramen retromolare o un ulteriore foramen mentale possono causare il fallimento dell’anestesia tronculare. L’innervazione controlaterale dei denti anteriori può portare al fallimento dell’anestesia sia nella mascella superiore, sia nella mandibola.
- Tecnica di iniezione non corretta Iniezioni eseguite troppo in basso, in alto, in profondità, oppure eccessivamente superficiali o intravascolari.
- Iniezioni eseguite troppo velocemente.
- Posizione dell’ago: la parte smussa va sempre posizionata verso il periosteo.
- Tempo d’azione insufficiente È importante anche lasciare all’anestetico il tempo sufficiente per ottenere una profonda anestesia: attendere fino a dieci minuti dal termine dell’iniezione.
Effetto di alcol e stupefacenti La combinazione di un’acidosi sistemica e di una ridotta resistenza circolatoria, causata dall’effetto vasodilatatorio dell’alcol, può generare un’anestesia inadeguata. Anche l’iperalgesia generata dall’uso di oppioidi può ridurre l’effetto anestetico.
Iperalgesia dovuta alla paura/ansia da iniezione In certi casi, gli ormoni associati all’ansia impediscono all’anestetico di agire come dovuto. Ai pazienti ansiosi sono tipicamente associati valori di pH corporeo più basso della norma, il che può impedire all’anestetico di penetrare la membrana cellulare del nervo.
Pazienti con sindrome di Ehlers-Danlos In questi pazienti l’assorbimento rapido nel flusso sanguigno dell’anestetico, dovuta alla natura difettosa del tessuto connettivo nei vasi sanguigni circostanti, può causare anestesia inadeguata. Pazienti con i capelli rossi A causa della mutazione del recettore del gene melanocortin-1, i pazienti con i capelli rossi danno una bassa risposta agli anestetici.
Pazienti anziani con densità ossea aumentata Nei pazienti anziani con densità ossea aumentata l’anestetico è meno efficace, specialmente nel caso di infiltrazioni periapicali, nei denti mandibolari. Conservazione errata dell’anestetico La conservazione dell’anestetico a temperature superiori a 37¡C comporta la degradazione dell’adrenalina (vasocostrittore) ivi contenuta e quindi il probabile fallimento dell’anestesia.
Riscaldare le tubofiale è uno degli errori più comuni: se si vuole ridurre il disagio al paziente non occorrono macchinari per riscaldare una tubofiala, basta riscaldarla nel palmo della mano. La temperatura di conservazione degli anestetici con adrenalina è di 25ºC. Copyright © Griffin srl – Tutti i diritti riservati
Quanto tempo ci vuole per svegliarsi da anestesia?
Anestesia prima, durante e dopo Dal momento che il paziente viene affidato al personale di sala operatoria non verrà perso di vista un solo attimo dagli infermieri e dall’anestesista fino al suo ritorno a letto, dopo l’intervento.Il paziente viene preparato in sala preparazione dagli infermieri che provvedono a sistemare l’agocannula in una vena del braccio per poter iniziare l’infusione di liquidi ed eventuale terapia antibiotica; il paziente viene monitorizzato per valutare i parametri emodinamici (pressione arteriosa, frequenza cardiaca).
- In anestesia generale Dopo che l’anestesia è stata avviata verrà somministrato costantemente un gas anestetico o un farmaco endovenoso ed altre medicine in maniera da tenere il paziente adeguatamente anestetizzato per tutto l’intervento chirurgico.
- La respirazione del paziente viene garantita da una macchina automatica attraverso il tubo posizionato in trachea.
Questo tubo viene tolto appena il paziente è sveglio. Altri apparecchi, intanto, controllano il cuore, la pressione sanguigna e l’ossigenazione. Finita l’operazione il paziente viene osservato in sala risveglio, fino al recupero completo, prima di essere inviato in reparto.
Il risveglio da un’anestesia generale può durare anche alcune ore e può comprendere anche una fase di confusione prima della completa normalizzazione. Una volta sveglio il paziente comincia a provare dolore nella zona operata e può avere fastidio alla gola ed a volte nausea e vomito. Il dolore dovuto all’intervento dura in genere un paio di giorni e può richiedere farmaci antidolorifici.
In anestesia loco-regionale Appena l’anestesia è completa il paziente viene sistemato sul tavolo operatorio. Egli avvertirà intorpidimento e formicolio nella zona anestetizzata. Verranno controllati i parametri emodinamici: il cuore, la pressione e l’ossigenazione in modo che l’anestesista possa seguire passo a passo le condizioni del paziente.Infatti mentre il chirurgo opera l’anestesista è occupato a valutare l’andamento dell’anestesia, le condizioni dei vari organi del paziente; l’anestesista sarà sempre accanto al paziente e potrà anche parlargli, se necessario, per confortarlo e rassicurarlo.
Come svegliare da anestesia?
L’interruzione della somministrazione dei farmaci – Il risveglio avviene tramite l’ interruzione della somministrazione dei farmaci che tengono il paziente addormentato. Oggi disponiamo di farmaci sempre più sicuri, tollerati ed efficaci, la cui durata è breve.
- Questo fa anche sì che il paziente li elimini prima rispetto a quanto avveniva in passato.
- Data la breve durata, durante l’intervento l’anestesista continua a somministrare i farmaci anestesiologici, per via endovenosa o per via inalatoria, controllando riflessi, stato di coscienza e parametri vitali del paziente.
Quando desidera che il paziente si svegli è sufficiente che interrompa la somministrazione dei farmaci: questo comporta il risveglio nel giro di pochi minuti, Qualora si siano utilizzati farmaci anestesiologici della durata un po’ più lunga, si ricorre a farmaci che spiazzano gli anestetici utilizzati e permettono così che il paziente ritorni allo stato di veglia.
2.3 milioni visite +56.000 pazienti PS +3.000 dipendenti 45.000 pazienti ricoverati 780 medici